Francesco Specchia, Libero 18/1/2011, 18 gennaio 2011
I DOLORI DEL GIOVANE ROBERT
I dolori del giovane Robert stavano tutti sulla punta di un ombrello, che non possedeva. Che fosse l’ombrello del re del Siam, «l’ombrello di foglie di Robinson Crusoe» o un ombrelletto vittoriano da 26 scellini, il parapioggia per il più che ventenne Robert Louis Stevenson (studente edimburghese frequentatore della “Speculative Society”, club per fighetti dell’epoca) rappresentava uno status symbol. Era «l’indice riconosciuto della posizione sociale», la «lux et veritas della rispettabilità». Sfoggiarlo presupponeva rispettabilità perché gli ombrelli come le facce «acquisiscono le affinità dei padroni».
Il concetto qui espresso emerge dalla satira sociale dell’omonimo saggio contenuto ne La filosofia dell’ombrello (Piano B Editore, pp. 134, euro 11), oggi pubblicato nel silenzio dei più. Stevenson, allora, era un fresco studente di giurisprudenza, vagava con orgoglio scozzese e un po’ hippy tra le proprie ambizioni. Non voleva fare l’ingegnere come il padre; si stava laureando in legge non avendo la minima intenzione di fare l’avvocato; evitava il frenetico attivismo dei coetanei ritenendo l’ozio appetito universale e segno d’identità personale. A sfogliare “L’ombrello”, questo scritto laterale tra sette saggi dell’autore dell’Isola del tesoro, beh ,ci si accorge che il suo culto ironico dell’oggetto è stato copiato spudoratamente dal Roland Barthes dei Miti d’oggi o dall’Altan degli omini cinici. Come diceva Calvino: per capire i posteri bisognerebbe leggere i classici.
Il volumetto è un’antologia di chicche e di rarità giovanili. Si va dall’omaggio leziosetto sul “Carattere dei cani” e dal
rapporto tra vecchie e nuove generazioni (“Vecchiaia scorbutica e gioventù”) fino al manierismo di “Conversazione conversatori”. Senza dimenticare “Una difesa dei pigri”, il miglior pezzo della raccolta. Originariamente apparso sulla rivista “Cornhill Magazine” (luglio 1877), si ispirava alla battutistica di Marziale: «Meglio incontrare un uomo o una donna felice piuttosto che una banconota da cinque sterline. Lui o lei sono fuochi che irradiano benessere; il loro ingresso in una stanza sembra accendere una candela in più», scriveva il falso pigro Robert.
Altra discettazione dilettevole sta
nell’articolo “Come apprezzare i luoghi sgradevoli”, levigato sul paradosso «per cui ogni luogo è sufficientemente buono per trascorrevi la vita, mentre è solo in pochi che possiamo trascorrere qualche ora piacevole». Magari in compagnia di qualche libro.
Stevenson era un ragazzo malaticcio. La sua ansia di viaggio nasce soprattutto dall’affanno bronchiale e dalla tubercolosi, che lo spingono a vivere a Samoa, dove gli indigeni cominciarono lo chiamano Tusitala, “il narratore di storie”. E le sue visioni talora psichedeliche sortiscono sia dall’uso eccessivo di ergotina, sostanza ambigua che sublimò fantasie
.
oscure ne Lo strano caso del dr. Jekyll e Mr. Hyde, sia dall’uso diciamo così farmacologico della lettura. I saggi sull’ispirazione letteraria di mostri come Borges, Carver o King sarebbero stati di là da venire: davvero, nulla s’inventa...
A proposito di lettura. Proprio in questi giorni un altro piccolo e acuto editore riedita Con due libri nella tasca. Vademecum per scrittori affamati e lettori esordienti (Edizioni Spartaco, pp. 86, euro 10), che Stevenson scrisse nello stesso periodo giovanile, partecipando al dibattito culturale britannico. «Dovremmo divorare il libro cogli occhi, rimanerne estasiati e la nostra mente dovrebbe essere invasata dalla più sfrenata e caleidoscopica danza d’immagini», scrive. Ed è illuminato da un crescendo di stralci di racconti e romanzi abortiti che culminano nell’influenza fortificante di Alexandre Dumas: «Forse, a parte Shakespeare, il mio migliore amico è l’anziano D’Artagnan del Visconte di Bragelonne». Che il vecchio D’Artagnan fosse l’archetipo stevensoniano non era noto. Stevenson possiede una tecnica speciale per filtrare la realtà: «Portavo sempre nella tasca un libro da leggere e un librino su cui appuntare i miei pensieri... partivo con le descrizioni (c’è sempre qualcosa che valga la pena di descrivere)».
E da lì ecco l’affiorare dei suoi modelli letterari: Defoe, Hawthorne, Baudelaire, Il Vangelo secondo Matteo, i Pensieri di Marco Aurelio e Foglie d’erba di Whitman, «un libro che ha rovesciato il mondo a testa in giù, che ha distrutto le migliaia di ragnatele della rispettabilità e delle illusioni moralistiche...». Quella del giovane Robert era la giovinezza inquieta dei suoi stessi eroi