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 2011  gennaio 20 Giovedì calendario

Tutto Caravaggio minuto per minuto - Era un tipaccio, Cara­vaggio. Litigioso, ag­gressivo, sboccato, vio­lento

Tutto Caravaggio minuto per minuto - Era un tipaccio, Cara­vaggio. Litigioso, ag­gressivo, sboccato, vio­lento. «Stravagantissi­mo » lo definisce il Mancini; «un poco di­scolo » lo dice con il dente avvelena­to il Baglione; «d’ingegno torbido e contenzioso»il Bellori.Ma,più del­le biografie secentesche, a parlare sono i documenti, aridi e spietati, ma veri. E Caravaggio, nel quarto centenario della morte, ne ritrova una messe. Sette giovani storici e ar­chivisti, guidati dal direttore del­l’Archivio di Stato di Roma Euge­nio Lo Sardo, hanno scavato per cir­c­a un anno lungo chilometri di scaf­fali, alla ricerca delle preziose carte caravaggesche che andavano dete­riorandosi. A sponsorizzare l’im­presa, Arcus, Ics, Fit, Land Rover, Eberhard, Fondazione del Credito Bergamasco, Axa, Società R. Schioppo SAS, Autoservizi Canuto e G. Pezzola. Il risultato è sorpren­dente: sono riemersi ignoti atti giu­diziari, contratti di commissione e di affitto, notizie di cronaca nera e bianca. Documenti che tratteggia­no la vita reale del pittore, la quoti­dianità tra vicoli e osterie, le botte e i colpi di spada a tradimento, i luo­ghi di vita, il carattere. Insomma, riemerge il Caravag­gio vero, quello che ai birri urla: «ve ho in culo tanto se me meni preg­gione quanto che no ». Che gira con una «lama di spada con manico d’argento, senza fornimenti, solo col fodero et puntale senza botto­ne » e che tira un piatto di carciofi addosso al garzone di un’osteria. Un Caravaggio rivisto nella crono­l­ogia dei suoi spostamenti da Mila­no a Roma, nella fuga disperata, si­no alla morte a Porto Ercole, attra­verso testimonianze precise e map­pe dei luoghi. Il materiale inedito, insieme a quello noto, sarà presen­tato a Roma ( Archivio di Stato,San­t’Ivo alla Sapienza) il 10 febbraio nella mostra «Caravaggio a Roma. Una vita dal vero» (sino al 15 mag­gio), curata da Orietta Verdi e Mi­chele di Sivo. Accanto ai documen­ti ci saranno opere di Caravaggio e colleghi in stretta relazione ai testi trattati. Ma intanto le novità. La prima è l’arrivo a Roma del pittore,non ven­tenne, come sinora si credeva sulla base del biografo Giulio Mancini, ma venticinquenne, cioè nel 1595-1596. A dirlo sono vari docu­menti, tra cui la lunga deposizione di Pietropaolo Pellegrini, garzone di origine milanese di un barbiere romano, ritrovata in un registro di carte giudiziarie, che dà molte noti­zie sull’arrivo a Roma di Caravag­gio e sui suoi esordi romani. Dove? Proprio nella bottega del pittore si­ciliano Lorenzo Carli, che viveva con moglie e figli in via della Scrofa, come sosteneva il Baglione. Non solo,nel documento compare l’in­ventario della bottega del Carli, con le «opere grossolane» ricorda­te dal biografo. Preziosa poi la de­scrizione fisica del Merisi fatta dal garzone: «Questo Michelangelo pittore è di età di 28 anni incirca, di giusta statura, più presto grande che altrimente grassotto, non mol­to biancho in faccia ne anco bruno, et ha un poco di barba negra, ma poca, et veste di negro, di mezza ra­scia negra, non troppo bene in ordi­ne et alle volte va bene in ordine et alle volte no, et porta in testa un cap­pello di feltro negro ». Aggiunge che parla milanese, anzi lombardo e che aveva frequentato la bottega del suo padrone per «tosarsi» e cu­rarsi di «una grattatura a una gam­ba ». Dunque Caravaggio, la cui de­scrizione fisica corrisponde ai tanti autoritratti che affiorano nelle sue opere, arriva a Roma cinque anni dopo il previsto, fatto che obblighe­r­à gli storici a una revisione cronolo­gica di gran parte delle sue opere. Ma com’era? Un caratteraccio, ris­soso e difficile, non troppo diverso da tanti tipi che frequentavano la Roma del tempo, misera e malavi­tosa. Sempre implicato in processi, davanti ai«giudici dei malefici»a di­fendersi contro accuse più vere che false. A cominciare dal noto proces­so contro il Baglione, rivale in pittu­ra, contro cui la banda di Caravag­gio compone versi osceni. Per con­ti­nuare con quello contro il capora­le dei birri, che racconta come il pit­tore, fermato perché portava spa­da e pugnale, dopo aver presentato la licenza, avesse risposto con mala­grazia «Ti ho in culo» finendo così nella prigione di Tor di Nona. O co­me quando aggredisce nel 1601 Tommaso Salini, da lui considera­to tra i pittori «cattivi», colpendolo più volte con la spada e dandogli del «becco fottuto» o «cornuto». Per il ferimento a Piazza Navona del notaio Mariano Pasqualoni, col­pevole di aver sparlato della sua «donna», Lena, cioè Maddalena Antognetti, modella della Madon­na dei pellegrini e della Madonna dei Palafrenieri , Caravaggio è co­stretto a fuggire a Genova il 29 lu­glio 1605 e poi addirittura a scusar­si con il notaio per poter rientrare nella capitale il 26 agosto. Ma c’è un’altra rivelazione ecce­zionale che esce dalle carte: l’affitto di una casa nel cuore di Roma per farsi lo studio e lavorare a due gran­di quadri, la Morte della Vergine e la Madonna dei Pellegrini , dal 1604 al 1605. Sinora si sapeva che il Merisi era stato ospite a lungo presso i suoi mecenati, come il cardinal del Monte, a Palazzo Madama. Ora sappiamo che l’8 maggio 1604 il pit­tore affitta da Prudenzia Bruni, ve­dova di un mercante di pelli, un’abi­tazione in vicolo di San Biagio in Campo Marzio, di proprietà del giu­rista Laerte Cherubini, e ancora esi­stente in vicolo del Divino Amore numero 19. A questo signore il pit­tore aveva promesso sin dal 1601 la pittura della Morte della Vergine per la sua cappella in Santa Maria della Scala in Trastevere, ora al Lou­vre. Per realizzare questa grande te­la Caravaggio aveva incluso nel contratto di locazione una curiosa clausola:l’autorizzazione a«scopri­re la metà della sala», al primo pia­no, cioè smontare il tavolato della soffitta per avere più spazio e più lu­ce. Era nata così quella splendida popolana morente, «gonfia, e con le gambe scoperte», «una meretri­ce sozza degli ortacci», con il volto della cortigiana amica del pittore, rifiutata dai religiosi. Quello che però intriga di più è l’inventario dei beni del Merisi con­servati in quella casa e sequestrati da Prudenzia Bruni nel 1606 per i mesi d’affitto non pagati e i danni del soffitto della sala. Qualche bic­chiere, qualche scodella, molti stracci, «un par de calzonacci ver­di », spade, pugnali, una chitarra, un violino, dodici libri, due tele da dipingere. Molto poco. Eppure, lì, al freddo, nascevano i maggiori ca­polavori della storia dell’arte.