MARIO BAUDINO, La Stampa 20/1/2011, pagina 40, 20 gennaio 2011
Chi non è pirata scagli la prima pietra - Don Chisciotte deve difendersi, nel romanzo di Cervantes, da un libro falso che racconta in modo diverso le sue avventure, tanto che modifica il proprio viaggio, andando a Barcellona invece che a Saragozza, per sottolineare la differenza della sua vicenda rispetto a quella che c’è nel testo «pirata»; non solo, fa irruzione in una stamperia dove i tipografi stanno correggendo il libro impostore
Chi non è pirata scagli la prima pietra - Don Chisciotte deve difendersi, nel romanzo di Cervantes, da un libro falso che racconta in modo diverso le sue avventure, tanto che modifica il proprio viaggio, andando a Barcellona invece che a Saragozza, per sottolineare la differenza della sua vicenda rispetto a quella che c’è nel testo «pirata»; non solo, fa irruzione in una stamperia dove i tipografi stanno correggendo il libro impostore. In quel momento sono passati 150 anni dall’invenzione di Gutenberg, e già il problema del diritto d’autore e dell’attendibilità delle fonti ha un ruolo importantissimo, centrale, nella cultura europea. Non solo per quanto riguarda l’aspetto economico. L’arte della stampa ebbe appena il tempo di essere inventata e cominciò subito un dibattito molto simile a quello che oggi riguarda Internet: come esser certi che le informazioni siano vere, come sapere se chi ce le fornisce è veramente ciò che dice di essere? Nel XVIII secolo Daniel Defoe tuonava contro gli autori di ristampe abusive definendoli «briganti», la cui esistenza suonava di per sé come rimprovero «a una nazione ben governata». Ma senza le ristampe abusive, imprecise, pasticciate, cambiate arbitrariamente rispetto all’originale, forse non ci sarebbe stato l’Illuminismo, che proprio nelle gerle dei librai «pirati» ha compiuto la sua lunga marcia attraverso l’Europa, come ha dimostrato lo storico Robert Darnton. Di «pirateria» intellettuale si cominciò a parlare in modo esplicito a Londra tra il 1695 e il 1710, dopo la «Gloriosa rivoluzione» contro gli Stuart e la fine dell’assolutismo monarchico, per analogia con il boom dei pirati veri, nei Caraibi. Il termine entrò nei dizionari per non uscirne mai più. Ora uno studioso dell’Università di Chicago, Adrian Johns, ne ha affrontato la storia in un libro che esce per Bollati Boringhieri, Pirateria, storia della proprietà intellettuale da Gutenberg a Google , e che con le sue 700 pagine è un saggio impressionante per ricchezza di dati e analisi, e una lettura affascinante. «Pirateria e proprietà intellettuale - scrive - nacquero entrambi come fenomeni legati alla stampa, e ne avrebbero seguito le sorti fino alla proliferazione di nuovi mezzi di comunicazione, intorno al 1900». Dall’attenta analisi storica emerge che l’una non rappresenta sempre il male, l’altra non incarna il bene, la difesa di un diritto inalienabile. Un atteggiamento «pirata» fu ad esempio in Inghilterra la difesa della libertà contro la pretesa del sovrano di concedere patenti di esclusiva; molti intellettuali, per esempio Newton o Voltaire, giocavano con i libri «abusivi» per argomentare le loro tesi più audaci, pronti a disconoscere quelle pubblicazioni come «false» e arbitrarie in caso di difficoltà col potere. L’Illuminismo fu per molti aspetti una nave pirata, e la scienza sperimentale, per affermarsi tra mille contrasti, non disdegnò quel vessillo. Non solo nel Settecento. Johns studia tra gli altri un fenomeno poco noto, più vicino ai giorni nostri: quello delle registrazioni musicali abusive fiorite con la diffusione della radio. In Inghilterra si arrivò, per combatterle, a irruzioni nelle case private, che però i giudici condannavano come violazioni della privacy. Il senso generale della sua analisi è che la pirateria va considerata come una sorta di Leitmotiv della modernità, e può essere una rivendicazione di libertà, non solo un modo truffaldino per far soldi. «Dobbiamo riconoscere che non è il puro e semplice furto cui siamo per lo più abituati a pensare - ci spiega dal suo studio di Chicago -. Una grande varietà di pratiche sono state definite pirateria, nei secoli. Alcune di esse non erano affatto illegali, come per esempio la libera ripubblicazione di libri europei negli Stati Uniti, durante il XIX secolo. Ciò dette luogo a un importante dibattito sul rapporto tra autore e originalità, e su come definire una sistema di leggi e una moralità nelle comunicazioni». La conclusione del libro è che gli enormi problemi di oggi (da Google alla tematica del copy-less nata su Internet, ma anche per i brevetti soprattutto farmaceutici) non possono essere affrontati senza una adeguata considerazione storica, e soprattutto senza la consapevolezza che il diritto d’autore come lo conosciamo è un’invenzione recente, codificata nell’Ottocento. Ma quali sono le conseguenze pratiche, sul piano delle decisioni da prendere? «Una sensibilità storica ci aiuta a comprendere che oggi ci sono molti problemi, e vanno al di là dei comportamenti individuali di appropriazione truffaldina - è la risposta -. Anzi, ho il sospetto che molte delle iniziative contro la “pirateria” intellettuale siano inefficaci proprio perché non tengono conto di questo retroterra. Prenderlo in considerazione non semplifica le cose, ma almeno ci fa capire gli effetti che possono avere le misure adottate di volta in volta per affrontare il problema». Narra Tucidideche i pirati erano in origine signori della guerra lungo le coste del Mediterraneo, e prima dell’ascesa di Atene questa attività era considerata del tutto onorevole. Le cittàstato, quindi la civiltà greca, nacquero dall’esigenza di limitarne i danni. Il risultato fu che gli ateniesi «deposero l’uso di camminare armati... diventarono meno austeri, più delicati». Adrian Johns ne ricava che «la civilizzazione era l’antitesi della pirateria». Oggi però, nelle pratiche quotidiane, nei nostri comportamenti comunicativi, in qualche modo «siamo tutti pirati». È finita l’era del copyright? «No, non penso - ci dice lo studioso -. Ma potrebbe finire con la prossima generazione. Il progetto di digitalizzazione universale di Google potrebbe funzionare trovando un equilibrio tra tutte le forze in campo, e cioè editori, pubblico, autori. Ma potrebbe anche non funzionare. E a quel punto tutto sarebbe possibile». L’attuale lotta contro la pirateria, o a seconda dei punti di vista contro il copy-less, è tempo perso? «No, non lo penso affatto. Per molti aspetti sono favorevole a essa. Non penso che le democrazie liberali possano vivere in un sistema di violazione di massa di leggi regolarmente approvate. La pirateria intellettuale può costituire una grave minaccia, per esempio in campo farmaceutico». Dove il cittadino sempre più spesso non sa più esattamente che tipo di medicine stia comprando e quali possano essere i loro effetti. Ma torniamo all’esempio dei «pirati» musicali negli anni Venti. È un capitolo importante. Spiega come quei «pirati» domestici vennero combattuti con mezzi illeciti. Per esempio la violazione di domicilio. E con scarsi risultati. «Temo che quanti oggi vogliono estendere la protezione della proprietà intellettuale in tutti i possibili campi, e in tutti i modi, siano altrettanto imprudenti; e soprattutto possano creare un contraccolpo negativo fra la gente, che renderebbe più difficile ottenere risultati ragionevoli».