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 2011  gennaio 20 Giovedì calendario

Tarquinio, dopo Boffo il direttore castigamatti - Lo star system televisivo ha provato a fagocitarlo nel giro di poche ore: «Dottor Tarquinio, volevamo invitarla a "Ballarò"», «Michele Santoro gradirebbe

Tarquinio, dopo Boffo il direttore castigamatti - Lo star system televisivo ha provato a fagocitarlo nel giro di poche ore: «Dottor Tarquinio, volevamo invitarla a "Ballarò"», «Michele Santoro gradirebbe...». Marco Tarquinio - il direttore di «Avvenire» autore dell’editoriale nel quale ci si dichiarava feriti e sconvolti per la vicenda-Ruby - ha preferito negarsi al circo mediatico. Dice lui: «Sono stato in tv e ricapiterà, ma bisogna sapersi dosare e credo non sia un bene quando un direttore diventa più "importante" del suo giornale». Cinquantadue anni, la calata dell’umbro di Assisi, una moglie cilena e due figlie, Tarquinio è un personaggio atipico e non soltanto per la sobrietà, così inusuale in un giornalista sulla breccia. Prima di ascendere al soglio direttoriale di "Avvenire", Tarquinio si è cimentato in una gavetta diversa da quella dei predecessori, una carriera tutta da giornalista e senza militanze in nessuna delle correnti del «retroterra» cattolico. E, una volta diventato direttore per caso (la caduta cruenta di Dino Boffo), Tarquinio ha «colpito» - uno dopo l’altro - tutti i protagonisti della politica. L’altro ieri Berlusconi, ma qualche settimana fa Gianfranco Fini: «Ha la pretesa radicaleggiante di dividere il mondo in buoni e cattivi» e accarezza «il più piacione dei relativismi». Frequenti critiche al Pd di Bersani, a cominciare dalla candidatura nel Lazio della «superabortista Emma Bonino». Il Terzo Polo del cattolico Casini? «Non c’è bisogno di un Terzo Pasticcio». E quando scoppiò lo scandalo delle bestemmie via barzelletta di Berlusconi, il direttore di «Avvenire» espresse una condanna («insopportabile») ben diversa dalle «contestualizzazioni» di monsignor Fisischella. Una severità a tutto campo, quella di Tarquinio, che è anche il riflesso di una Cei, quella del cardinale Angelo Bagnasco, diversa dalla Cei di Camillo Ruini. Quella era una Ceipartito, schierata col centro-destra, una Cei che si trovò affiancata dall’« Avvenire» di Boffo nella grande mobilitazione del «Family Day». Invece la Cei di Bagnasco è quella della ricostruzione di un laicato cattolico capace di tornare ad essere protagonista della politica. Naturalmente, in entrambe le stagioni, è sempre restato stretto il rapporto tra la Conferenza espiscopale, il giornale dei vescovi e il suo direttore. Certo Tarquinio dice spesso nelle riunioni di redazione: «Noi abbiamo l’editore più presente, perché con le diocesi si estende su tutto il territorio, ma anche il meno invadente». Naturalmente gli editoriali di «Avvenire» non sono mai scritti a dispetto di quel che pensano al Laterano e due giorni fa, a chi chiedeva al cardinale Bagnasco un commento sul caso-Ruby, il presidente Cei è stato laconico («Ha già parlato "Avvenire"») e al tempo stesso gratificante col suo direttore. Ma non basta la «nuova» Cei per comprendere il personaggio-Tarquinio, uno che ha fatto la leva da allievo ufficiale tra i carristi. Da anni i colleghi lo raccontano come uno sempre «preparatissimo», «sul pezzo» e lui sorride: «Cerco sempre di far bene tutto quello che faccio». Negli anni Novanta, al «Tempo» di Roma (ereditata la guida del servizio politico da Stefano Folli), quando la direzione decide di appoggiare Fini, allora segreterio dell’Msi, nella corsa al Campidoglio, Tarquinio con gesto inusuale, per dissenso si autosospende da editorialista. E ora che gli editoriali li scrive da direttore, Tarquinio si mette sempre dal punto di vista del comune cattolico che va a messa, il cattolico qualunque: «Per noi passa tutto attraverso la centralità della persona umana: le critiche ai politici, ma anche le campagne che facciamo da soli e che hanno successo. Sui disabili, sul diritto di “replica” alle famiglie che non vogliono l’eutanasia, sul delitto mediatico che stava falcidiando l’editoria sul territorio».