GUIDO CERONETTI, La Stampa 20/1/2011, pagina 1, 20 gennaio 2011
Un’idea dell’unità d’Italia - C’ è indifferenza verso il centocinquantenario dell’unità d’Italia, punito da tormentose cure generate dalla incompresa crisi economica e dallo stato di coma della politica
Un’idea dell’unità d’Italia - C’ è indifferenza verso il centocinquantenario dell’unità d’Italia, punito da tormentose cure generate dalla incompresa crisi economica e dallo stato di coma della politica. C’è addirittura chi si disonora calpestando e bruciando bandiere tricolori. Io sono un vecchio a cui duole l’Italia, come la Spagna doleva a Miguel Hernández; ma a me l’Italia duole senza speranza. E all’Italia unita tengo, ma una sola configurazione politica per mantenerla tale mi pare possibile: la repubblica presidenzialeall’americana in una struttura federativa senza frantumazione regionalista. E’, s’intende, un progetto ideale; ma anche questa Italia , che non cesserà mai di essere governata male, con larghe ipotesi di malgoverno progressivo, senza poter escludere che dalla tuba salti fuori (non invisa, anzi applaudita dai cardinali) una repubblica islamica - anche questa nazione di incoscienti ipnotizzati dalle televisioni è nata all’inizio del XIX, da un moto ideale, spirituale e messianico, il più potente in Europa dal tempo della Riforma: il 1789. Il più bel figlio della rivoluzione dell’Ottantanove è stato il risorgimento italiano, coi suoi martiri sacri, con le sue passioni tramontate. Ma se vogliamo che una entità italiana (e italofona) abbia ancora un senso nel tempo, nella inesorabilecadenza di frenesia del Divenire, bisogna stringere fortemente i bischeri del presidenzialismo, e federare per centralizzarne confini e interdipendenze, centralizzare perché nell’ipotesi federativa libertà e diritti siano preservati dappertutto, federare per affinità etniche e spirituali (salto forte che mai ebbe attenzione durante il periodo monarchico fino alla diarchia mussoliniana da parte dei Savoia o degli Aosta) e federare limitatamente (per estesi Länder ), non per regioni-pollaio dove qualsiasi volpe-Lega irromperebbe attraverso ogni smagliatura: pessima influenza la sua, né unitiva né separativa, mera anestesia in vista di chirurgie devastatrici. Mi astengo dalle celebrazioni perché, inevitabilmente, non vedono in nessun processo, illuminabile storicamente, che tracce e intrecci piattamente materialistici, calpestando a loro volta il tricolore perché ne rinnegano l’origine e il significato scandalosamente spirituali . Manzoni, il grande illuminista-illuminatore, riconobbe perfettamente l’immensa portata delle campagne del Bonaparte. Ne vide lo stupro generatore, ma Hölderlin ne comprese meravigliosamente la sapienza sottile, la forza del sigillo puramente spirituale - estendendoli a tutta Europa ma dando fortissima connotazione emblematica all’Italia, ricordata esemplare (vedi a p. 220 tomo I, dell’edizione Adelphi, e la mia versione a p. 366 della raccolta La Distanza , BUR, riediz. 2010: «Sopiti, inerti, i popoli tacevano...»). E’ «dal Reno azzurro al Tevere» che il fatale impulso napoleonico si manifesta con più grassa e rovinante potenza. Il tricolore blu dilata ostetricamente la prescritta futura Italia nella sua letargia formicolante di passaportiinterni. Salteranno ad uno ad uno, ma l’Italia dei Sabaudi (Alpi e alpeggi smarriti, fontine e fondute cuciti insieme con la Singer, e una smisurata sequela di coste fino a minute isole che vedono l’Africa) non sarà come la Francia giacobina del suo battesimo Una e Indivisibile ... In meno di un secolo la Monarchia è già alle corde e degenere... Ma il lievito messianico, da quando il Fato ( Schicksal ) intraprende di giocare coi mortali «un gioco audacissimo» (Hölderlin), l’Ottantanove mirabile, guida dei Carbonari allo Spielberg, del grembiale massonico e della camicia garibaldina, dov’è finito? Perché subito naufraghi? Quando Giulio Einaudi mi incoraggiò a imbarcarmi sul Trenino Fantasma che diventò il mio Viaggio in Italia , non avevo nessuna idea su che cosa avrei potuto osservare e scrivere. In un quadernetto inedito di note preparatorie appare l’idea di fondamento del mettere in luce, col pretesto di un’autobiografia pellegrinante, l’essenza italiana , e l’aura che - oggi incurabilmente malata - l’avvolge. Pensavo di andare alla scoperta della sostanza puramente ideale italoparlante, che dalla sponda ellenica ricevette il nome pregnante,esoterico, di Esperia. Esperia, per cui l’Italia è la Terra della Sera, la nazione crepuscolare, e niente affatto «il Paese del sole» dello stupidario turistico; la grande rete da pesca Italia di un interminabile tramonto. Tutto si copre ben presto d’ombra, in Italia: qui in verità è la peculiarità italiana, il bisogno di abbeverarsi d’arte per restare vivi nell’incalzare della morte, il viaggio dantesco nei regni d’Oltretomba, repubbliche e signorie ossessionate dal proprio estinguersi, che Machiavelli si sforzava di far durare, con spietatezza di stile, sulle tracce della Prima Deca di Livio. Il Machia era un sognatore: tutto il suo genio era impotente a rifare la congenita fragilità ossea dell’Italia, fino e ben oltre i suoi malgoverni repubblicani, che significativamente finiscono sempre prima, partiti che si dissolvono in passerelle d’ombre. E’ Esperia, l’ombra della Sera, che a sua volta ironicamente governa i governi italiani, ne prescrive la durata, li spinge nel vuoto. L’Essenza italiana rifiuta ciò che è pratico, è dialogo amaro con la Finitudine, partita a scacchi di perdente con l’angelo sterminatore... Forse non sono riuscito a comunicare questo, e i libri spariscono presto; ma credo averla intravista e sperimentata questa realtà simbolica soggiacente, questo perpetuo, immancabile purgatorio di tramonti chiamato Italia, che si è unita per più soffrire di sé, per essere via via meno viva tra le presenze europee. I tre versi di Salvatore Quasimodo che culminano in «Ed è subito sera» rischiarano bene questa verità sublime che quando puntualmente si mostra nessuno vede. All’inno trionfalista risorgimentale dovrebbe seguire il Silenzio militare, delle bare onorate che ritornano dagli incubi asiatici spaventosi. Il secondo è la verità del primo. Qualcosa di concreto si può fare per ricordare il perduto Risorgimento... Leggere, rileggere, far leggere e commentare nelle scuole, nelle università e nei teatri le ultime lettere di condannati a morte della Resistenza, qualche testamento di caduti e martiri della Grande (troppo grande) Guerra (Giosuè Borsi, Nazario Sauro, Cesare Battisti...) e specialmente l’ultima lettera-testamento di Tito Speri, prima dell’impiccagionea Belfiore. Vittorie amare, luci da ritrovare, sconfitte da meditare. Ed è subito sera.