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 2011  gennaio 18 Martedì calendario

ROGO DI PRIMAVALLE E LOLLO FA SCENA MUTA IN PROCURA

Parlare, non ha parlato. Ma era difficile anche capire se almeno un rimorso, almeno quello, lo abbia attraversato mentre, mani in tasca e sguardo di ghiaccio, Achille Lollo - che si trascina sul groppone una condanna a 18 anni per la morte dei fratelli Mattei, eppure è libero senza aver scontato la pena per l’avvenuta prescrizione - entrava negli uffici della Procura di Roma di piazza Adriana
Lo attendeva il pubblico ministero Luca Tescaroli, che 37 anni dopo i fatti cerca di fare luce su quella strage che inghiottì una famiglia, e una intera generazione. Invecchiato e ingrassato, Lollo sembrava una statua, impassibile. Soltanto una smorfia, come si mordesse le labbra o si masticasse la lingua, gli alterava il viso. Un anticipo di quanto sarebbe accaduto poco dopo di fronte al magistrato. Tescaroli, infatti, sembra non aver ottenuto le risposte che sperava. Lollo, che in questa nuova inchiesta sul rogo di Primavalle, è stato ascoltato come testimone assistito, non ha risposto alle domande. Ma, nonostante questo, non è da escludere che a breve l’inchiesta possa far registrare novità di rilievo.
Era la notte tra il 15 e il 16 aprile del 1973. Sotto la porta di casa della famiglia Mattei - Mario, netturbino e segretario della sezione del Msi di Primavalle, quartiere popolarissimo della periferia Ovest di Roma, sua moglie Anna Maria e i 5 figli - qualcuno versò della benzina, poi accese il fuoco. L’incendio avvolse il piccolo appartamento. Tutti riuscirono a salvarsi; tutti tranne Stefano e Virgilio, 10 e 22 anni. Incapaci di scappare; bruciarono vivi; Virgilio fu ridotto a un tizzone nero, deformato dal fuoco, aggrappato alla ringhiera del terrazzino dal quale non riuscì mai a lanciarsi; il fratellino, scivolò esanime ai suoi piedi.
C’è una famosa e terrificante fotografia che racconta quella notte: è talmente agghiacciante che non la si riesce a guardare più di qualche secondo, né la si dimentica più. In quell’istante, l’istante cristallizzato in quella immagine, la stagione delle utopie venne archiviata definitivamente. Si alzava il sipario sugli anni di piombo e in Italia, e soprattutto a Roma, si iniziava a morire di politica. Ancora una volta.
Nei giorni che seguirono accadde di tutto. La sinistra extraparlamentare - anche chi sapeva bene come fossero andate le cose - provò ad addossare la responsabilità di quel rogo agli avversari politici. Si parlò addirittura di lotte interne alla destra missina. Ma, alla fine, venne condannato a 18 anni per omicidio preterintenzionale proprio Achille Lollo, all’epoca esponente di Potere Operaio. E con lui Marino Clavo e Manlio Grillo. Nessuno dei tre ha mai scontato integralmente la pena, ormai prescritta. Lollo scappò in Brasile, da qui nel 2005 rilasciò una intervista al Corriere della Sera che contribuì a riaprire il caso.
«Non siamo stati in tre ad organizzare l’attentato. Eravamo in sei. Ho rispettato un silenzio di oltre trent’anni, oggi non ha più senso», disse e tirò in ballo Paolo Gaeta, Diana Perrone e Elisabetta Lecco, tre «compagni», spiegò, che «facevano parte di un collettivo che avevamo creato qualche mese prima, vicino a Potere Operaio». Arrivarono smentite, controinterviste. Ci si chiese il perché di quelle parole, le vere ragioni di quella improvvisa voglia di parlare. Si riaprirono vecchie ferite.
Sei anni dopo, per la verità, Tescaroli ha chiesto il gip l’archiviazione ma ha stralciato una parte degli atti della inchiesta che, dunque, può proseguire, per strage. E, forti anche del lavoro del Ros dei Carabinieri, non è da escludere che i magistrati possano avere qualche carta ancora coperta in mano e che presto possano decidere di giocarsela. Certo, anche la semplice conferma di quella intervista da parte di Lollo avrebbe dato una mano. Invece, niente. Evidentemente Lollo ha preferito tener fede al suo personaggio. Già, perché anche questa, come tante delle storie degli anni Settanta, è popolata di personaggi, prima ancora che da persone.
E come personaggi si mostravano anche quei giovani che ieri in piazza Adriana - forti di tricolore e croci celtiche eppure di area Pdl - gridavano slogan e insulti indirizzati a Lollo ma anche ai magistrati, come fossero un tutt’uno, come si fosse ancora fermi agli anni Settanta. E a un’altra epoca rimandava anche la presenza di Adriano Tilgher, venuto a dar man forte ai ragazzi della Destra di Francesco Storace, col quale, dopo qualche incrocio pericoloso in tribunale, ora milita. Ma a mandare in archivio quegli anni, sarebbero state sufficienti le capigliature curatissime dei ragazzi col megafono, e i loro vestiti alla moda: mai visto tanto sfoggio nelle manifestazioni dell’epoca del Msi dove andava più lo sguardo truce e muscolare, e la posa virile. A pochi metri, dalla giostrina del Lungotevere, una di quelle coi cavallini e le carrozze, di tanto in tanto arrivava la eco di un walzerino. E quella musica stonava davvero col rumore del traffico che le scorreva accanto e con i cori che quei ragazzi ancora scandivano.
«Confido nel pubblico ministero. In quello che potrà fare», ha detto, invece, in serata Giampaolo Mattei, fratello di Stefano e Virgilio. E dignitosamente ha ripetuto che si deve «continuare ad avere speranza». «La mia impressione - ha aggiunto - è che Lollo, ma tutti loro, continuino a giocare a scacchi. Da parte mia, dopo 38 anni, un giorno in più non è un problema». Davvero un’altra Italia, questa, capace di abbracciare la madre di Valerio Verbano, vittima della violenza di destra, per chiudere per sempre quella pagina, seppure qurant’anni dopo. Non prima, però, di avere avuto la verità su chi gli uccise figlio e fratello.