Lulu Berton, Panorama 20/1/2011 (uscita 14/1), 20 gennaio 2011
MENO SESSO E PIU’ TV: LA TERZA ETA’ CINICA E FELICE DI PHILP ROTH
Ho conosciuto Philip Roth a una cena a New York. Judith Thurman, firma del New Yorker e grande amica di Roth, mi aveva invitata nella sua casa dell’Upper East Side alla festa del Ringraziamento del 2007. Senza saperlo, mi sono ritrovata seduta a fianco a un signore tanto arzillo quanto tagliente che di nome faceva Philip. Non ho mancato di notare i sogghigni tra i commensali quando gli ho chiesto di cosa si occupasse. Alla fine della serata mi ha quasi preso un colpo quando ha scelto uno dei libri accatastati su un tavolino, Everyman. «Lei è Philip Roth?» ho balbettato. Lui ha sorriso dicendomi: «Troppo tardi, Lulu, troppo tardi» che poi è quel che ha scritto nella dedica.
Oggi io e «il signor Philip» ci troviamo spesso al caffè sotto casa sua, vicino a Central Park. In lui ho trovato l’amico perfetto cui chiedere consigli sull’arte della scrittura. Consigli che qualche mese fa sono diventati un libro, Lick (ed. Sonzogno). Nel frattempo lui ha sfornato il suo trentunesimo romanzo, che in Italia uscirà il 1° febbraio, Nemesi, in cui riprende alcuni temi dei suoi ultimi lavori, come la malattia e la morte. Il protagonista è l’insegnante d’educazione fisica Bucky Cantor, che nell’estate del 1944 si scontra con un’epidemia di poliomielite che fa strage di ragazzi ni a Newark, città natale dello scrittore.
Che relazione ha con la morte?
Ho avuto relazioni migliori (sogghigna, ndr). Non mi piace, è terribile, tutta la mia famiglia se n’è andata: prima mia madre, poi mio padre, di recente mio fratello. Negli ultimi due anni ho perso sei amia cari.
Pensa spesso alla fine della vita?
Ogni giorno. Non ossessivamente, ma è un pensiero sempre presente nella mente.
Crede nell’aldilà?
No. Credo che la morte sia la fine. Abbiamo a disposizione un colpo solo. E penso che nulla viva oltre il corpo.
La sofferenza l’ha mai sperimentata?
Fui operato alla schiena due volte, nel 2003 e nel 2005, e dopo la prima operazione il dolore fu atroce. Tomai sotto i ferri e passai 4 mesi in convalescenza camminando avanti e indietro lungo la mia piscina in Connectìcut. Mezz’ora al dì, come da prescrizione medica, e con molta diligenza, perché volevo rimettermi in sesto con tutte le mie forze. Trovai anche un bel passatempo, recitavo ad alta voce qualche poesia a memoria che avevo imparato al liceo, da Walt Whitman a Samuel Woodworth, fino a Geoffrey Chaucer.
Com’è stata la sua infanzia?
Ero un bambino esuberante, sempre di buon umore. Adoravo chiacchierare con mia madre Bess mentre stirava o lavava i panni, inebriandomi dei profumi del bucato pulito. Mamma era molto dolce e attenta. Il centro della sua vita era la famiglia, e da sola riuscì a smorzare gli effetti della Grande depressione, visto che mio padre di soldi ne faceva ben pochi. Fu grazie a lei che i Roth non uscirono dalla classe media e quando morì fu uno shock per tutti, soprattutto per papà. Ne parlo molto in Patrimonio. Ebbe un infarto al ristorante. Andò fuori a cena la domenica sera con un gruppo di amiche e quando arrivò la sua zuppa disse: «Non voglio questa zuppa». Furono le sue ultime parole.
Con suo padre andava così d’accordo?
Non tanto. Mi stava troppo sul collo e voleva controllare tutto quel che facevo, anche con le ragazze. Così, a 17 anni, presi e me ne andai di casa, anche se all’università non è che ebbi vita facile con le donne...
In che senso?
Negli anni 50 non c’erano posti dove potere fare sesso in tranquillità. Con la mia ragazza dei tempi lo facevamo di nascosto nella lavanderia sotto il dormitorio. Se mai ci avessero scovati, sarebbe stata la nostra fine accademica. Era eccitante farsi inebriare dai profumi dei panni puliti, e quando lei pensò d’essere rimasta incinta decidemmo anche di sposarci, l’aborto era illegale ai tempi. Per fortuna fu un falso allarme.
Il sesso ha sempre giocato un ruolo critico nei suoi romanzi, soprattutto agli esordi, come in «Lamento di Portnoy». Ora però sembra avere messo da parte quell’ossessione.
M’interessa sempre capire cosa succede nella vita delle persone quando sono mosse dal sesso, che venga loro negato o che ne escano pazze. È sempre stato un tema di vitale importanza, anche se forse non ne sono più soggiogato come un tempo.
In passato ha tenuto vari corsi di scrittura creativa. Cosa insegna agli studenti che vogliono diventare scrittori?
Primo: non seguire corsi di scrittura creativa. Secondo: esperire il dolore attraverso una lunga malattia. Terzo: vivere almeno due anni in un paese sconosciuto di cui non si parla la lingua. Quarto: lavorare un anno in miniera. Il quinto è facoltativo: ci vuole almeno un matrimonio fallito alle spalle.
Non crede nel matrimonio?
Non fa per me, è come una gabbia, anche perché la cosa che ho sempre voluto di più dalla vita è la mia libertà.
Non ha nemmeno avuto figli...
No, li considero sempre una limitazione della mia libertà.
Le donne sono sempre un’ispirazione?
Sì, in loro apprezzo il senso dell’umorismo, l’intelligenza suprema e la lealtà.
Come organizza il suo processo di scrittura?
Lavoro sodo da sempre, eccetto quei 5 anni dal 1962 al ’67, quando ero nuovo al gioco letterario. Ho sempre scritto tutti i giorni, e se scrivi tutti i giorni avrai con ogni probabilità una pagina al giorno, che moltiplicata per 365 giorni all’anno alla fine fa 365 pagine. Adesso però ho deciso che ogni 50 anni voglio prendermi una pausa. Sto facendo altre cose, come occuparmi del mio archivio alla Library of Congress, cui ogni 5 anni consegno tutta la mia corrispondenza e i miei manoscritti. Adesso faccio anche colazione fuori, per me una novità, e le mie giornate lavorative iniziano a mezzogiorno. Sono comunque felice di non avere scoperto l’ozio prima. Sarebbe stato un disastro.
Come si rilassa?
Ho scoperto molto tardi questo medium che si chiama tv, la conosce? (ride, ndr). Non l’ho mai guardata in vita mia, eccetto le partite di baseball d’estate. Ti rintrona a puntino; la sera dopo cena faccio tanto zapping, guardo qualche film tremendo e sono felicissimo.
Si tiene in forma?
Nuoto e cammino ogni giorno. Dopo il mio bypass nel 1989, sto anche molto attento alla dieta, mangio cibi poco grassi, niente formaggi, niente burro e niente sale. Sono anni che non mangio uova, e mi mancano molto. Lo stesso per i gelati e le cotolette d’agnello. Esiste la vita senza cotolette d’agnello?
E cosa legge Philip Roth?
Non leggo più romanzi, ho perso l’interesse. Non conosco il linguaggio dei contemporanei, mentre mi piace riesplorare i grandi autori del passato come Joseph Conrad. Lo lessi da giovane, ma ora capisco veramente quel che volesse dire.
Cos’altro le piacerebbe conquistare nella vita?
Sono felice così. Ho lavorato sodo e fatto del mio meglio. I miei libri sono lì fuori e non farò molto di più per cambiare le cose.