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 2011  gennaio 18 Martedì calendario

A Tunisi c’è un nuovo governo Ma tutti temono gli islamisti - La Tunisia ha un nuovo governo, ma i ministeri che contano sono in mano alla vecchia guardia del presiden­te Ben Alì, costretto alla fuga

A Tunisi c’è un nuovo governo Ma tutti temono gli islamisti - La Tunisia ha un nuovo governo, ma i ministeri che contano sono in mano alla vecchia guardia del presiden­te Ben Alì, costretto alla fuga. Lo stesso primo ministro, Mohammed Ghannouchi, e il capo dello Stato provviso­rio, il presidente del Parla­mento Fouad Mebazaa, sono uomini del vecchio regime. Nell’esecutivo entrano tre membri dell’opposizione, ma la gente continua a mani­festare urlando slogan come «la rivoluzione continua. Via l’Rcd (il partito di Ben Alì nda)» a Tunisi e altre città. Non solo: dall’estero gli oppo­sitori in esilio parlano di «go­verno farsa». Ieri il premier Ghannouchi ha annunciato il nuovo esecu­tivo conferm­ando nei dicaste­ri chiave come l’Interno, la Di­fesa e gli Esteri i ministri in ca­rica. Ben Alì, prima di lasciare il Paese, aveva silurato il mini­stro dell’Interno so­stituendo­lo con l’accademico e più mo­derato Ahmed Friaa. La gente in piazza, però, non dimenti­ca che la polizia ha sparato ad alzo zero sui manifestanti, provocando 78 morti. I volti nuovi sono Najib Cheb­bi, nominato ministro dello Sviluppo regionale, Ahmed Ibrahim, responsabile dell’ Istruzione e Mustafa Ben Jaa­far, a capo della Sanità. Cheb­bi è il fondatore del partito Progressista democratico di opposizione. Ibrahim guida il movimento del Rinnova­mento e Ben Jaafar l’Unione della libertà e del lavoro. Il premier ha annunciato la formazione di una commis­s­ione d’inchiesta sulla sangui­nosa repressione presieduta da Taoufiq Bouderban, ex pre­sidente della Lega dei diritti umani. La procura indagherà sulla corruzione e le elezioni si terranno fra sei mesi, non più in due come si ipotizzava. Il problema è che l’opposizio­ne, cooptata nel nuovo gover­no, esisteva pure prima, ma era addomesticata da Ben Alì. Non a caso dal suo esilio a Parigi, il rivale storico dell’ex presidente, Moncef Mar­zouki, leader della sinistra lai­ca, ha bollato il nuovo esecuti­vo come «una farsa: le forze re­ali del Paese sono state esclu­se ». Marzouki ha intenzione di tornare in patria e presen­tarsi a­lle elezioni presidenzia­li con il Congresso repubblica­no. Dall’esecutivo sarebbe ri­masto escluso anche il parti­to comunista. Il suo leader, Hamam Hammami era stato arrestato nei giorni scorsi e poi liberato con la fuga del presidente. La vera incognita è quella de­gli islamisti, che il nuovo go­verno vuole continuare a ban­dire. Se le elezioni saranno ve­ramente libere sarà pratica­mente impossibile proibire il ritorno di partiti come En­nahdha (Rinascita), vicino ai Fratelli musulmani. Il leader in esilio a Londra, Rached Ghannouci, scalpita per tor­nare in patria. Discepolo del sudanese Hassan al Tourabi, pensa che la sovranità in un Paese musulmano sia di Al­lah. Il pericolo principale, però, è rappresentato dal serbatoio di rabbia e disoccupazione giovanile nel quale possono pescare movimenti ben più estremisti approfittando del­la situazione armi in pugno. L’11 gennaio il leader di Al Qaida nel Maghreb islamico, Abu Musaab Abdul Wadud, incitava il popolo tunisino a rovesciare il «faraone» Ben Alì, messo al potere dai «cro­ciati ». Con un appello sui siti filoterroristi Wadud ha defini­to le proteste «un urlo contro il boia» che «ha rotto il muro di silenzio che dominava la Tunisia da secoli». Alla fine ha invitato i tunisini ad arruo­lare i loro figli in Al Qaida «per la battaglia finale contro gli ebrei, i crociati e le loro spie». A vigilare, con l’aiuto degli americani, contro lo spettro dei fondamentalisti, ci pense­rà il generale Rachid Ammar, capo di stato maggiore delle forze armate. Ben Alì lo aveva silurato, perchè non ha dato l’ordine ai soldati di sparare sulla folla. L’ambasciata ame­ricana lo ha appoggiato nel mezzo colpo di palazzo, che ha mandato in esilio Ben Alì. La gente lo considera un eroe. Lui non si fa vedere, ma opera dietro le quinte per di­minuire il peso della polizia a favore dell’esercito. E su Face­book è nata, non per caso, una pagina intitolata al «gene­rale Rachid Ammar presiden­te », con un vasto seguito di fan.