Sergio Romano, Panorama 20/1/2011 (uscita 14/1), 20 gennaio 2011
ROMANO: BERLINO NON PUO’ ABBANDONARE I PARTNER EUROPEI PIU’ DEBOLI
Agli inizi della crisi greca, la Germania sembrò infastidita dalle esortazioni di quei partner europei che pretendevano di coinvolgerla nel salvataggio del paese. Per qualche settimana Berlino si limitò a impartire lezioni di morale finanziaria. Può darsi che Angela Merkel pensasse soprattutto alle elezioni regionali e fosse sensibile agli umori della pubblica opinione.
Ma nelle riunioni europee di quelle settimane i ministri tedeschi furono generalmente «ostruzionisti». Qualche giorno fa un giornale tedesco ha scritto che il cancelliere ha pressantemente esortato il Portogallo a fare uso dei generosi aiuti offerti dal «fondo della salvezza» (circa 700 miliardi di euro) che l’Unione Europea ha creato per i paesi minacciati di bancarotta. La notizia è stata smentita, ma è probabilmente vera. La Germania, quindi, intende fare subito per il Portogallo ciò che non era disposta a fare per la Grecia. Era arrabbiata con i greci perché volevano salvarsi con il suo denaro e sembra oggi arrabbiata con i portoghesi perché sembrano decisi a rifiutarlo. Forse che i malanni di Lisbona sono potenzialmente più gravi di quelli di Atene?
Il Portogallo ha chiuso il 2010 con un disavanzo del 7,3 per cento (2 punti in meno del 2009) e conta di scendere al 3 per cento nel 2012. Ha un debito pubblico pari all’82 per cento (18 punti meno dell’Irlanda). Per ridurre la spesa pubblica e impinguare le casse dello stato, il governo del socialista José Socrates, d’accordo con l’opposizione, ha ridotto del 5 per cento i salari della funzione pubblica e ha aumentato l’iva dal 21 al 23 per cento. Nel corso del 2011 il Portogallo dovrà farsi prestare dal mercato una somma che oscilla fra 18 e 20 miliardi di euro. Ma il governo è riuscito a piazzare con successo, recentemente, obbligazioni per un valore complessivo di 500 milioni. Esistono alcuni punti di debolezza: la disoccupazione al 10,9 per cento (più di 2 punti al di sopra di quella italiana), la modestissima crescita (0,2 per cento nel 2011) e il crescente divario (lo spread) fra i tassi d’interessi delle sue obbligazioni e quelli dei bund tedeschi, diventati ormai la pietra di paragone della credibilità finanziaria dei paesi dell’Ue. Ma il suo stato di salute sembra alquanto migliore di quelli della Grecia e dell’Irlanda. Non abbiamo assistito in Portogallo alle tumultuose manifestazioni di Atene e di Salonicco. Non abbiamo assistito, come in Irlanda, al collasso del sistema bancario. Resta da capire quindi perché la Germania sia più generosa con i portoghesi di quanto sia stata, agli inizi, con gli altri malati dell’Ue.
Le ragioni sono probabilmente due, strettamente collegate. In primo luogo la Germania non teme la crisi portoghese in sé, ma le conseguenze che potrebbe avere sulla Spagna, dove i tedeschi hanno considerevoli impegni industriali e finanziari. Secondo gli ultimi dati della Banca dei regolamenti internazionali di Basilea, alla fine di giugno le banche tedesche erano esposte in Spagna per la somma di 182 miliardi di dollari, una cifra considerevolmente superiore a quella della loro esposizione in Irlanda (139) e nettamente superiore a quella del Portogallo (37). In secondo luogo la Germania ha finalmente capito che non esistono più, all’interno dell’Unione Europea, destini solitari e vie nazionali alla salvezza. Non abbiamo ancora un governo economico, ma siamo ormai legati l’uno all’altro da un destino comune. La Germania avrebbe dovuto accorgersene prima, ma meglio tardi che mai.