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 2011  gennaio 16 Domenica calendario

SACCONI: «ORA LA PARTECIPAZIONE AGLI UTILI. NON SERVONO LEGGI»

Non ci vuole molto a immaginare che il ministro del Welfare Maurizio Sacconi abbia accolto il voto di Mirafiori con un bel respiro di sollievo. «Eravamo preoccupati» , confessa. Ammettendo di considerare quel 54,05%di consensi un successo clamoroso. Serve un bello sforzo di fantasia… «— sono stati davvero molti ad avere il coraggio di mettere in discussione i loro tempi di vita. Il vecchio compromesso, fondato sull’ideologico controllo sociale della produzione, prevedeva bassa produttività in cambio di bassi salari. Con la conseguenza, per le operaie e gli operai, di poter organizzare il tempo di non lavoro per le esigenze di famiglia o per una fonte di reddito complementare. I moduli di lavoro sono quindi stati rigidi e non adatti alla piena utilizzazione degli impianti quando lo richiedeva il mercato. Oggi è invece fondamentale la capacità di adeguare rapidamente il modello di produzione per utilizzare sempre al meglio gli impianti. Anche se questo cambia radicalmente l’organizzazione della vita» . Una cosa da niente. «Il problema non è tanto l’appesantimento fisico del lavoro attribuito alle minori pause. Soprattutto al Nord, quando referendum del genere si sono fatti, li hanno bocciati per ostilità al sabato lavorativo, allo straordinario obbligatorio o al lavoro notturno. Anche nel caso in cui gli accordi erano stati sottoscritti dalla Fiom. Perché c’è una resistenza a cambiare il tempo di lavoro. Resistenza comprensibile, sottolineo. L’aspetto positivo è che nonostante ciò i sì hanno prevalso» . Per un soffio. Non si aspettava un consenso maggiore? «No. Perché solo chi non conosce la fabbrica può pensare di dirlo. Come fui il primo ad affermare che il 63%di consensi all’accordo per Pomigliano d’Arco rappresentava un successo straordinario, così dico che il 54,05%di consensi a Mirafiori è un gran risultato» . Se ne deduce che temeva la vittoria del no. «La temevo. Ma non perché avessi paura che potesse prevalere una cosciente adesione alla linea della Fiom e alla sua logica di immanente contrasto fra capitale e lavoro. Ma perché più banalmente avrebbero potuto difendere il loro tempo di vita. Dobbiamo apprezzare che nonostante questo anche fra gli operai i consensi abbiano avuto la maggioranza» . Risicata, risicatissima. «Nove persone, ma pur sempre una maggioranza. E poi gli impiegati, non sono forse lavoratori anche loro? Mi auguro che non si consideri l’impiegato come un servo del padrone… Piuttosto considero significativo il comunicato di Sergio Marchionne di oggi con cui la Fiat si impegna a gestire la maggiore flessibilità. Il sabato lavorativo viene considerato l’ultima ratio. Lo stesso straordinario è gestito tenendo presente che ci potrebbero essere problemi personali» . La presa d’atto che la vittoria non è stata schiacciante? «Voglio soltanto sottolineare, per dire quanto questo sia un tema delicato, che Marchionne si preoccupa di precisare con quale attenzione alle persone sarà gestita questa esigibilità del cambiamento dei tempi. Ma il tema più generale che emerge da questa vicenda è quello della grande fabbrica oltre, ovviamente, al futuro dell’auto e, in questo ambito, al ruolo di Torino» . Allude al destino delle grandi imprese? «Siamo un Paese condannato al nanismo produttivo o capace di mantenere e sviluppare la grande fabbrica? Un Paese come l’Italia, di vecchia industrializzazione e con un tessuto di piccole e medie imprese, è ancora in grado di ospitare una grande impresa?» . La risposta? «Affermativa. A Pomigliano e Mirafiori sono stati realizzati due accordi cruciali, grazie a sindacati che si sono messi in gioco, affrontando anche la sfida del referendum. Dobbiamo ringraziarli, e non li ringrazieremo mai abbastanza» . di regola, quando i sindacati firmano un accordo è perché i lavoratori ci guadagnano qualcosa. Stavolta? «Il ritorno per i lavoratori è un ritorno in termini di salario e di sicurezza del lavoro. Il compromesso bassa produttività, basso salario — che comunque non regge più— si deve ribaltare in alta produttività, alto salario. E quindi maggiore partecipazione: si condividono le fatiche, si condividono anche i risultati. Come già accade nella piccola impresa, anche nella grande dimensione sono possibili accordi tali da formalizzare la partecipazione dei lavoratori financo agli utili. E non occorrono leggi, basta la buona volontà di manager illuminati e sindacati cooperativi. Se vogliamo mantenere in Italia le grandi imprese, magari far tornare pure la grande chimica o consolidare siderurgia e cantieristica, dobbiamo agire su queste leve. Cercando di superare le rigidità del conflitto» . La Cgil sostiene che questa è la fine del contratto nazionale. Marchionne ha fatto capire che in caso di bocciatura dell’accordo la Fiat si sarebbe potuta disimpegnare dall’Italia. Come si rimettono insieme i cocci? «Mi spiace che la Fiom preferisca in queste ore la strada del trionfalismo e spero che la dialettica aperta nella confederazione porti a qualcosa di concreto, tale da favorire regole e magari politiche condivise tra le grandi organizzazioni» . Per esempio? «Che la Fiom non pensi, come nessun altra organizzazione sindacale fa, di risolvere i conflitti per via causidica» . Vuol dire a colpi di carte bollate? «Appunto. Adesso sono al bivio fra la riflessione sull’accordo o la via disperata dell’azione giudiziaria, che comunque non garantisce certamente al Paese quello di cui ha bisogno: lo sviluppo con occupazione e buoni salari» . Magari anche una maggiore responsabilità da parte della politica, non crede? «In questi momenti c’è chi c’è e chi non c’è. Purtroppo va detto che il Partito democratico non è riuscito a esserci. Anche se vanno ricordate alcune lodevoli prese di posizione, come quella del sindaco di Torino Sergio Chiamparino e dell’area che fa capo a Giuseppe Fioroni. E sono posizioni discriminanti, che definiscono una classe dirigente. A questo appuntamento il gruppo dirigente ex Ds non c’è stato».