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 2011  gennaio 16 Domenica calendario

Allergici a un cibo? Nella metà dei casi è solo un timore infondato - La maggior parte di coloro che si credono allergici a determinati alimenti non lo è affatto

Allergici a un cibo? Nella metà dei casi è solo un timore infondato - La maggior parte di coloro che si credono allergici a determinati alimenti non lo è affatto. È uno dei primi dati che emergono dalle nuove Linee guida statunitensi per la diagnosi e la gestione delle allergie alimentari, redatte sotto l’egida del National Institute of Allergy and Infectious disease e pubblicate sul Journal of Allergy and Clinical Immunology: in una percentuale variabile dal 50 al 90 %dei casi di presunta allergia alimentare basta qualche accertamento per sgretolare la diagnosi. In molti casi, "responsabili"di queste pseudo allergie sono i cosiddetti "test di intolleranza"(come il Vega test, l’esame d e L C a p e L L o o quello d i citotossicità) che convincono persone sane di dover evitare questo o quell’alimento. «Quella delle intolleranze è "una moda", a causa della quale sono in molti a privarsi senza fondamento scientifico di nutrienti importanti» spiega Jan Schroeder, allergologo dell’Ospedale di Niguarda a Milano, dichiarandosi d’accordo con le linee guida che ne sconsigliano l’uso. Ma per decidere di eliminare completamente una voce dal proprio menu non basta nemmeno che in una o più occasione si sia manifestato qualcuno dei disturbi che sono possibili segnali di una reazione allergica (vedi tabella). «Intanto occorre che la reazione si presenti entro mezz’ora, al massimo due ore, dall’assunzione del cibo incriminato, oppure entro 36 ore, nel caso delle allergie di tipo ritardato» spiega Gianni Cavagni, primario di allergologia pediatrica all’Ospedale Bambino Gesù di Roma. Se le manifestazioni sono tardive, la diagnosi si basa solo sui sintomi, mentre nelle forme immediate, che dipendono da anticorpi chiamati IgE, il sospetto clinico può essere confermato con il Prick test (nel quale si mette a contatto della pelle una piccola quantità di estratto delle sostanze incriminate e poi si punge attraverso la goccia) e con un esame del sangue, che serve a cercare le IgE specifiche responsabili della risposta immunitaria anomala verso quel determinato alimento. «È inutile invece, di solito, dosare la quantità totale di questi anticorpi,— aggiungono gli autori delle linee guida — così come effettuare altri tipi di test cutanei» . La prova del nove può venire dal cosiddetto test di scatenamento, in cui, sotto controllo medico, si somministrano in quantità crescenti gli alimenti sospetti per verificare se davvero inducono una reazione. «Poiché l’esame non è esente da rischi, — precisa Cavagni — in genere, non viene effettuato tanto per confermare un’allergia, quanto per accertare che è stata superata, cioè che si è sviluppata una tolleranza, come spesso accade nei bambini col passare degli anni» . Il documento degli allergologi americani smonta poi molti luoghi comuni: «Se è vero, per esempio, che la presenza di una dermatite atopica aumenta il rischio di allergie alimentari e che gli asmatici possono avere le reazioni più gravi, — sostengono gli esperti— ciò non significa che chi ha queste malattie debba evitare gli alimenti considerati allergizzanti quando non c’è prova che questi scatenino reazioni in quel determinato individuo» . Ed è indubbio che la presenza di casi anche gravi in famiglia aumenti il rischio di ammalarsi, ma astenersi dal latte o dalle uova, dai frutti di mare o dalle noccioline, non lo riduce. «Il discorso vale anche per le donne in gravidanza o che allattano— dice Cavagna, confermando il parere dei colleghi statunitensi —. Non è mai stato provato che quel che mangia la mamma, o il piccolo fin dall’inizio dello svezzamento, modifichi le probabilità di sviluppare un’allergia alimentare» . Il documento lo dice chiaro: «Non bisogna ritardare oltre il quarto-sesto mese di vita l’introduzione di alimenti solidi, compresi quelli noti per la loro capacità di scatenare allergie» . Fino ad allora, le Linee guida raccomandano l’allattamento al seno: se questo fosse impossibile, piuttosto che il latte di soia, nei bambini ad alto rischio, si possono prendere in considerazione i prodotti speciali a base di idrolisati delle proteine del latte.