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 2011  gennaio 16 Domenica calendario

Gas e gasdotti dopo l’Authority - Nell’Italia che dopo la svolta Fiat si riscopre ansiosa di liberalizzazioni c’è un banco di prova per distinguere chi fa sul serio da chi usa i paroloni per nascondere il vuoto: è il destino dei gasdotti internazionali dell’Eni e di Snam Rete Gas

Gas e gasdotti dopo l’Authority - Nell’Italia che dopo la svolta Fiat si riscopre ansiosa di liberalizzazioni c’è un banco di prova per distinguere chi fa sul serio da chi usa i paroloni per nascondere il vuoto: è il destino dei gasdotti internazionali dell’Eni e di Snam Rete Gas. Vecchia storia, direte? Sì e no. La storia è vecchia, perché c’è una legge del 2003, firmata dal ministro Marzano, Forza Italia, che sulle tracce del predecessore Bersani, Ulivo, impone all’Eni di ridurre la partecipazione Snam dal 52%al 20%allo scopo di separare l’infrastruttura in monopolio dalla produzione e dal commercio del gas da mettere in concorrenza onde ridurre i prezzi al consumo. L’Autorità per l’energia da sempre chiede il decreto attuativo. Da sempre l’Eni è contrario e i governi Berlusconi, Prodi e ancora Berlusconi rinviano il decreto sine die. La storia è nuova perché l’Eni, che controlla il 92%delle importazioni, sta per vendere le partecipazioni nei gasdotti tedesco (Tenp) e svizzero (Transitgas), che portano in Italia il gas del Mare del Nord, e anche quella nel Tag, il gasdotto austriaco che prolunga dalla frontiera slovacca a quella friulana i tubi provenienti dalla Siberia. L’Eni si è impegnata a farlo come rimedio pro concorrenziale onde evitare una multa della Ue per precedenti abusi di posizione dominante. Poiché le importazioni dalla Russia sono ingenti, e dunque strategiche, il Tag andrà alla Cassa depositi e prestiti. I diritti di passaggio, naturalmente, restano a chi già li ha ottenuti a supporto dei contratti di fornitura di lungo periodo, e cioè a Eni, Edison e così via. Ove si consideri che la Cassa è già il principale azionista dell’Eni, non si capisce di quale rimedio si stia parlando. Ma alla Commissione Ue va bene. Del resto, la terza direttiva Ue sul gas è un compromesso in perfetto stile democristiano: va bene la linea separatista dell’Autorità italiana, che si ispira alle esperienze inglese e spagnola, ma va bene anche la linea Eni, che distingue l’infrastruttura dall’industria solo in termini societari e non anche proprietari, e non a caso risulta la preferita di Gaz de France e delle tedesche Ruhrgas ed E. On. Del resto, azeri e turkmeni hanno appena spiegato al candido Barroso, presidente della Commissione Ue, che non daranno gas a tubi sgraditi al colosso russo Gazprom, storico partner loro e dei monopoli europei. Ben più incisiva sarebbe la linea dell’Autorità, che Alessandro Ortis lascia in eredità al ministro Romani: fare di una Snam indipendente, e controllata dalla Cassa direttamente (o tramite Terna, si può aggiungere), il soggetto acquirente dei gasdotti Eni, compresi quelli algerino e libico su quali Bruxelles non ha giurisdizione; una Snam che si apre all’integrazione con le reti europee e, in Italia, promuove nuovi rigassificatori per importare gas naturale liquefatto che la diffusione dello shale gas negli Usa, e domani ovunque, renderà eccedente, e dunque a buon mercato. Come dimostra la richiesta di riesportazione del gas liquefatto che la stessa Eni ha ora presentato a Washington. Ma, direbbe Missiroli, per ridurre la centralità dei gasdotti (e del potere connesso) ci vorrebbe un governo.