Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera 16/1/2011, 16 gennaio 2011
NAVI, GIORNALI E UNA BANCA ISLAMICA. L’IMPERO DEL POTENTE GENERO SAKHER
Una tigre (si chiama «Pashà» ) come animale da compagnia, l’amore per le auto veloci, vacanze a Saint-Tropez, ville da sogno tra Hammamet e il golfo di Biserta, gelato allo yogurt venuto appositamente dalla Francia per i suoi ospiti di riguardo: ha un nome il nemico numero uno della sommossa tunisina. Non è il presidente Ben Ali, che, anzi, per tanti dimostranti non è altro che la vittima della corruzione clientelare dei suoi clan famigliari cresciuti come una piovra gigante sino a soffocarlo, isolarlo, accecarlo in 23 anni di autocrazia. Il vero «cattivo, corrotto, ladro per eccellenza» (come gridano nelle piazze) è invece Sakher El Materi, il genero trentenne con la faccia d’angelo e problemi di linea considerato «l’uomo più ricco della Tunisia» . I maggiori quotidiani locali, ora finalmente liberi dalla censura, stanno preparando gustosi dossier speciali su di lui e il suo impero, assieme a quello dei Trabelsi, il clan altrettanto potente e corrotto legato alla moglie del presidente, i cui membri sono in larga parte fuggiti in esilio. A ben ascoltare però è soprattutto lui, Sakher, a sintetizzare il male della dittatura. «Sarà la sua giovane età. Non è possibile essere tanto ricchi così giovani. Ha solo 30 anni. Sino al suo matrimonio con Nesrine nel 2004 era un quasi signor nessuno. Suo nonno, Mahmoud Materi, era un vecchio compagno di Bourguiba nella lotta anti-coloniale. La sua chance l’ha giocata bene quando è stato mandato a studiare nella stessa scuola dei figli del presidente e ha conosciuto la donna che gli ha fornito la piattaforma di lancio» , spiega Kamal Zaiem, il redattore capo di Le Quotidien, che già oggi uscirà con la prima puntata. Una carriera fulminante, tutta cresciuta all’ombra del potere. Coltiva i contatti con l’Occidente, ma non disdegna quelli con i dittatori locali. Due anni fa ospitò nella sua villa Gheddafi in visita ufficiale. Ultimamente si è offerto per aiutare a diffondere McDonald’s in Tunisia, sebbene sostenga che il suo cibo «è poco sano e fa diventare grassi gli americani» . «El Materi ha un carattere fatto di alti e bassi. Un po’ volgare, arricchito, gli piace ostentare la sua ricchezza. Ma possiede anche una grande capacità di relazionarsi con le persone» , nota nei suoi cablogrammi l’ambasciatore americano a Tunisi, Robert Godec, citati da WikiLeaks. L’elenco delle sue attività è da capogiro. La sua rete di rivenditori d’auto ha l’esclusiva nel Paese per Audi, Volkswagen, Porsche e Renault; possiede la compagnia di navi da crociera Goulette Shipping, la farmaceutica Adwia, le due società immobiliari Les Hirondelles e Marchand de l’Immobilier. Ultimamente si è lanciato in un’operazione delicata: cercare di rilanciare un modello di Islam moderato in questa società che è tra le più miracolosamente laiche del Medio Oriente. Ha così aperto una Banca Islamica, grazie al sostegno di alcune finanziarie inglesi. E la sua scalata alla politica è iniziata agli inizi del 2010, quando aveva deciso di fondare una radio religiosa, «Zeituna» , associata più di recente all’acquisto del gruppo editoriale «Dar Assabah» , che pubblica due quotidiani nazionali: Le Temps e Assabah. Tanto è cresciuto il suo potere di influenzare l’opinione pubblica tunisina che nel giugno 2010 veniva indicato come «il naturale successore dell’anziano Ben Ali» . Ma proprio i suoi strabilianti successi spingevano ancora l’ambasciatore americano a mettere in guardia sette mesi fa: «El Materi è troppo visibile. Si è fatto tanti nemici nel clan famigliare. La sua energia dinamica non è priva di lati ambigui, prima di tutto le accuse di corruzione» , scriveva Godec nel dispaccio del 9 giugno 2010. Tramite i video pubblicati su Facebook, i tunisini ancora prima della rivolta sapevano che la sua villa a Montréal vale oltre 2,5 milioni di dollari canadesi, che i suoi palazzi di Hammamet, Tunisi e sul vecchio porto di Sidi Bou Said sono protetti da uno stuolo di agenti pagati dallo Stato e contengono centinaia di manufatti del periodo greco, fenicio e romano rubati dal patrimonio archeologico nazionale. Il disprezzo verso di lui e il suo clan sono diventati tanto acuti che quando due giorni fa ha chiesto un aereo per poter fuggire verso Dubai i due piloti della Tunis Air contatti avrebbero risposto con un secco no. «Le tue compagnie aeree private hanno messo in crisi quella nazionale. Ora resta qui e paga per i tuoi crimini» , avrebbero risposto secondo i giornalisti locali. Lui sarebbe stato così costretto a pagare una somma enorme ad altri due piloti privati.