ARTURO ZAMPAGLIONE , la Repubblica Affari&finanza 17/1/2011, 17 gennaio 2011
FACEBOOK CON GOLDMAN VERSO WALL STREET MA ORA SI TEME UNA NUOVA BOLLA DOT.COM LA FINANZIARIA GUIDATA DA BLANKFEIN HA IMPEGNATO 450 MILIONI PROPRI, POI HA CONVINTO UN GRUPPO DI INVESTITORI A IMMOBILIZZARE SUBITO UN MILIARDO E MEZZO DI DOLLARI
La rivista Time lo ha appena incoronato "uomo dell’anno". A Hollywood si prevede che la sua avventura, raccontata nel film di David Fincher, The social network, riceva a fine febbraio una doccia di Oscar. A Wall Street si è alleato con la banca più ricca, più aristocratica e temuta la Goldman Sachs di Lloyd Blankfein che con l’ennesima e spregiudicata operazione di acrobazia finanziaria gli consegna due miliardi di dollari, gli prepara il terreno per il collocamento in Borsa e valuta la sua società, Facebook, 50 miliardi di dollari. Mike Zuckerberg sorride: non c’è mai stato nessuno, nella storia economica del mondo, che a soli 26 anni è riuscito a diventare così ricco e influente. Ma c’è anche chi scuote la testa, temendo che dietro alla rapida ascesa di Facebook si nascondano una nuova sfida al "capitalismo democratico" e soprattutto il rischio che una terza "bolla", dopo quella della "new economy" e del mutui subprime, possa gonfiarsi a dismisura e poi esplodere con conseguenze disastrose per i mercati finanziari e i risparmiatori.
Non c’è dubbio che Wall Street abbia sottovalutato, almeno all’inizio, il fenomeno Facebook. Fondato nel febbraio del 2004, cioè meno di sette anni fa, da Zuckerberg e da alcuni suoi compagni di Harvard, il sito di "social network" è cresciuto in modo esponenziale a livello planetario. Oggi conta più di 500 milioni di utenti. E non si tratta solo di giovanissimi: il numero di ultra quarantacinquenni che se ne servono è pari a quello degli under25. Negli Stati Uniti il sito ha superato, in termini di visite, persino quello di Google. A differenza di tanti esperimenti della "new economy", Facebook è anche riuscita a ottenere utili in poco tempo: nei primi nove mesi del 2010 ha incassato 355 milioni di dollari di profitti su un fatturato di 1,2 miliardi. E di fatto ha eclissato il sito concorrente, MySpace, che vantava una primogenitura nel campo e che era stato comprato nel 2005, dopo un aspro duello, da Rupert Murdoch. Incapace di tener testa, MySpace ha annunciato proprio la settimana scorsa il dimezzamento dell’organico, da 1100 dipendenti a soli 500, considerato il primo passo per la vendita o la chiusura.
Di colpo Facebook, che ha appena 1700 dipendenti in 12 paesi, è diventata il nuovo giocattolo della comunità finanziaria. Perché questo improvviso interesse? Innanzitutto per le ferite ancora aperte del caso Google. Al momento della quotazione in Borsa del motore di ricerca di Mountain View molti investitori non ne capirono le potenzialità e si fecero sfuggire un affare che dal 2004 ha fruttato più del 600%. E adesso sognano la rivincita. La seconda ragione dietro all’entusiasmo di Wall Street è più profondo e strutturale: nel fenomeno Zuckerberg economisti e sociologi vedono l’emergere di una nuova forma di comunicazione interpersonale destinata a cambiare anche le regole del marketing. Il social networking – spiegano – rappresenterà un canale privilegiato per acquisire nuovi consumatori e diventerà essenziale nelle strategie delle imprese.
Di fronte agli appetiti di Wall Street, Zuckerberg aveva tenuto finora un atteggiamento molto cauto, preoccupandosi più dell’espansione del sito e dei problemi sulla privacy, che non di batter cassa. Di qui il ristretto numero di soci: la maggioranza delle quote azionarie sono ancora detenute dai dipendenti e dai fondatori, a cominciare dallo stesso "Mike" che ha un pacchetto del 24 per cento. L’unica vera eccezione era stata la Microsoft di Bill Gates e Steve Ballmer, che aveva una partecipazione simbolica dell’1,3% legata alla sua gestione della pubblicità sul sito. Ma adesso c’è una svolta. All’inizio di gennaio Zuckerberg si è alleato segretamente con Blankfein, il chief executive della Goldman Sachs. E la banca di Wall Street ha orchestrato un’operazione creativa: prima di tutto ha investito direttamente 450 milioni di dollari in Facebook, cui si sono aggiunti altri 50 milioni della Digital Sky Technologies, la società hitech russa che ha una forte presenza interna di exdirigenti Goldman. Poi la banca ha predisposto uno strumento ad hoc, sotto forma di una società del Delaware, per permettere ai suoi clienti più facoltosi, quelli con depositi superiori ai 10 milioni, di investire collettivamente 1,5 miliardi nel sito di Zuckerberg.
L’affare soddisfa tutti i protagonisti. Facebook, che nell’accordo viene valutata in ben 50 miliardi di dollari (con Zuckeberg a quota 12 miliardi), riceve la liquidità necessaria per l’espansione e può rimandare a tempi ancora migliori la quotazione a Wall Street. I clienti della Goldman mettono il primo piede nel gruppo di social network puntando a enormi guadagni al momento dell’ingresso in Borsa. La Goldman Sachs non solo incassa lauti compensi per questa operazione preliminare, ma vince la pole position per guidare il maxicollocamento previsto per la fine del 2012. Certo, è paradossale che Zuckeberg, un populista del web, paladino della massima apertura nei rapporti interpersonali, si associ alla banca più elitaria, chiusa e controversa. Di qui le critiche del popolo di Internet. Ma il patto FacebookGoldman è anche finito nel mirino della Sec. Il sospetto dell’agenzia federale che tutela i mercati azionari è che si siano volute aggirare le norme sulla trasparenza nella raccolta dei capitali. Le leggi americane, ad esempio, stabiliscono che quando una società supera i 500 azionisti debba presentare periodicamente i dati di bilancio, mentre gli investitori della Goldman verrebbero considerati come un solo azionista in quanto raccolti sotto l’ombrello di una unica società.
Al di là degli aspetti tecnici e giuridici, l’affare solleva due interrogativi. Il primo riguarda la sorte della riforma finanziaria introdotta l’anno scorso negli Stati Uniti: l’obiettivo di Barack Obama era di promuovere una maggiore democrazia nel capitalismo finanziario, che ora viene però disatteso perché saranno i soliti big a trarre i maggiori benefici dal collocamento di Facebook. La seconda inquietudine è legata alla creazione dell’ennesima bolla finanziaria. A Wall Street si sta tornando all’euforia di una volta e a quella "esuberanza irrazionale" denunciata da Alan Greenspan. Il pericolo è che le vicende di Facebook inneschino una corsa alle quotazione in Borsa su livelli irrealistici e insostenibili. C’è chi, come Lou Kerner, exanalista della Goldman Sachs e ora della Wedbush securities, prevede che la capitalizzazione di borsa di Facebook possa quadruplicare raggiungendo entro il 2015 i 200 miliardi di dollari.