STEFANO CARLI, la Repubblica Affari&finanza 17/1/2011, 17 gennaio 2011
MEDIASET E LE NUOVE FREQUENZE PERCHÉ È AFFONDATA DAHLIA
Non sono gli abbonati al calcio ma le frequenze del dividendo digitale, quelle che prima o poi il ministero di Paolo Romani dovrà assegnare con il beauty contest (quindi gratis), all’origine della brutta storia che ha portato alla messa in liquidazione di Dahlia Tv il «concorrente» di Mediaset nella trasmissione a pagamento delle partite di calcio sul digitale terrestre. Anzi, a dirla tutta, dal punto di vista del business del calcio questa storia per il Biscione potrebbe perfino secondo alcune ipotesi costituire una perdita secca. Non grande ma soprattutto sopportabile, se la posta in gioco è la disponibilità amichevole di uno o due nuovi multiplex.
Ma questa è anche la storia di una ritirata, di un’uscita dalla scena italiana: quella del gruppo svedese Wallenberg, che controlla il 75% di Airplus, che ha a sua volta l’83% di Dahlia.Ed è la storia dell’ennesima sconfitta del sistema economico italiano che gli investitori esteri, specie quelli seri e dalla grande reputazione, come sono appunto i Wallenberg, fa fatica ad attrarli e le poche volte che ci riesce, finisce alla fine per farli fuggire. Perché il mondo degli affari non è fatto solo di codici, cavilli, contratti e grandi consulenti legali, ma spesso si basa anche su quelli che si chiamano gentlemen’s agreement. Che valgono cioè solo perché e fino a che sono rispettati da tutte le parti: basta che uno solo venga meno alla parola data e tutto crolla. Come è successo stavolta.
Tutta la vicenda si è consumata alla fine della scorsa primavera, con l’assegnazione dei due pacchetti, il Gold e il Silver, in cui sono stati divisi i diritti delle partite di calcio di Serie A sul digitale terrestre. Il meccanismo era stato varato l’anno prima dalla Infront, l’advisor della Lega Calcio. Aveva suscitato qualche dubbio perché assegnava al pacchetto Gold, quello che avrebbe gestito i diritti di 12 delle 20 squadre della serie A, la scelta sulle prime dieci. Poi ne avrebbe scelte 4 Dahlia, poi ancora 4 Mediaset e infine le ultime 2 a Dahlia. Ma non è un problema di numeri ma di quali sono le squadre. Che a Mediaset sarebbero andate le prime sei (le due milanesi, le due romane, la Juve e il Napoli), non c’era dubbio. La vera partita si sarebbe giocata sulle medie e le minori. Dahlia, subentrata a La7 nell’ottobre 2008, aveva ereditato una quota di mercato, in termini di ricavi, del 10%. Una quota di mercato che era del 25% l’anno precedente, ma che la Telecom di Tronchetti aveva accettato di far scendere a favore del Biscione cedendo a Mediaset i diritti delle partite in trasferta delle sue squadre: in pratica Mediaset aveva i diritti di Inter, Milan o Juve anche quando giocavano in casa delle «squadre Telecom».
Nel primo anno di gestione Dahlia aveva brillantemente mantenuto la sua quota. E lo aveva fatto impostando un piano industriale intelligentemente incentrato sulle sue tre squadre di punta: Palermo, Fiorentina e Bologna.
Il fatto è che Mediaset, potendo scegliere con il nuovo meccanismo all’asta varato nel giugno 2009 le prime dieci, poteva prendere in un solo colpo anche queste tre squadre. Ma, è questa la ricostruzione su cui sono pronti a mettere la mano sul fuoco gli addetti ai lavori, questo non sarebbe dovuto accadere.
Il gentlemen’s agreement, appunto, tra Dahlia e Mediaset. Un accordo che si stava anche per perfezionare con uno scambio: Dahlia avrebbe dato agli utenti di Mediaset Premium la possibilità di vedere le partite in trasferta dei big del Biscione con le sue squadre. Il vantaggio di Mediaset sarebbe stato di offrire tute le partite dei grandi team, quello di Dahlia di monetizzare subito ricavi aggiuntivi in vista di un’uscita soft dal calcio o per sopravvivervi senza perdere troppo e consolidare nel tempo strategie alternative.
Tutto questo però salta proprio in fase di offerta, quando si apre la busta di Mediaset che comprende anche Palermo, Fiorentina e Bologna. E si arriva al paradosso che oggi tra i canali pay di Dahlia c’è il Palermo Channel, dedicato al club rosanero, ma i tifosi palermitani per vedere le partite devono abbonarsi a Mediaset Premium.
A giugno quindi la più parte del pasticcio e fatta. A peggiorare le cose arriva, sulla fine dell’estate, la guerra di prezzi tra Sky e Mediaset che porta ormai il costo del calcio sotto i 20 euro al mese e finisce per mettere del tutto fuori gioco l’offerta low cost di Dahlia. Che, è bene ricordarlo, non è un gigante dei media ma una start up. A settembre, quando il campionato ricomincia, si fanno i conti dei danni. Dahlia a giugno aveva in circolazione 850 mila schede ma le ricariche iniziano a farsi sempre più rade e ora si parla di 250300 mila utenti. Di questi circa 150180 mila sono quelli attribuibili al calcio. Gli altri sono arrivati attratti dal resto dell’offerta: sport alternativi come la boxe (che è stato un discreto successo), la vela, il rugby, il football americano, il volley, un canale di sport estremi, uno di documentari naturalistici della Bbc e i canali porno.
Può Mediaset aver fatto tutto questo per quei 180 mila utenti qualcosa che vale si e no il 5% del mercato? Il gruppo Berlusconi ha ora 3,8 milioni di utenti e gli analisti sono in attesa dei dati dell’ultimo trimestre 2010 per calcolare gli effetti sui conti del bagno di sangue della guerra commerciale con Sky. E Confalonieri ha ammesso la possibilità di impegnarsi in qualche modo per salvaguardare i diritti degli utenti Dahlia di vedere le partite, che hanno già pagato, fino alla fine di questo campionato. L’unica alternativa è convincere Telecom, che con TiMedia è socio al 10% di Dahlia, a subentrare, ma questa è un’ipotesi che Franco Bernabè non ha alcuna voglia neanche di discutere, al momento.
A questo punto restano due domande senza risposte certe. Perché i soci di Dahlia hanno aspettato gennaio per alzare bandiera bianca quando la situazione è oggi nelle stesse condizioni di quattro mesi fa? E, soprattutto, perché mollare adesso? Fino all’autunno Dahlia era infatti in predicato di aggiudicarsi uno, forse perfino due dei multiplex messi in palio dal beauty contest sul dividendo digitale, tra i tre riservati ai nuovi entranti e per i quali non possono concorrere né Mediaset, né Rai e nemmeno Telecom. Uno di quei tre sarà appannaggio di Sky. Per gli altri Dahlia era il soggetto ideale: ha competenze, è già attivo, ha fatto investimenti ma non ha infrastruttura (tant’è che paga a Telecom un affitto da 24 milioni l’anno, ritenuto oggi decisamente troppo alto, visto che equivale a un quarto circa dei costi di infrastrutturazione ex novo di una frequenza, un affare per Telecom).
Tra gli addetti ai lavori in questi giorni si parla molto dell’attivismo di Elettronica Industriale, la società Mediaset che gestisce l’infrastruttura di rete, per promuovere offerte e cordate in vista del beauty contest, e se così davvero fosse, sarebbe ancora più sospetto il ritardo del ministero (ora davvero l’iniziativa spetta a lui) nel pubblicare il bando. Ma Mediaset, si sa, ha fame di frequenze. Ne sta per ricevere una quinta (che già usa per l’alta definizione, in via sperimentale) ma ce n’è una sesta, quella del Dvbh, la tv su cellulare, che non potrà usare per fare passare i suoi programmi ma solo per la nuova tecnologia T2. E se vuole aumentare la sua offerta pay in concorrenza a Sky, ha bisogno di nuovi canali. Non necessariamente da comprare, magari solo da affittare. Certo non ai prezzi di Telecom. E fuori Dahlia, fuori un concorrente pericoloso per quei multiplex.
Quanto al calcio, superati in qualche modo i prossimi mesi, a giugno Infront e Lega Calcio riorganizzeranno, presumibilmente, una nuova gara per la stagione 201112. E se l’Italia fosse un paese normale ne trarrebbero perfino vantaggio. Tra sei mesi i passaggi dall’analogico al digitale saranno quasi finiti, e tutto il digitale varrà molto di più, mentre ancora a giugno scorso valeva appena la metà del satellite. Il problema è trovare operatori seri disposti a candidarsi. Italiani non ce ne sono. E gli stranieri, vista la scelta dei Wallenberg, se ne guarderanno bene.