ROBERTO MANIA , la Repubblica Affari&finanza 17/1/2011, 17 gennaio 2011
FIAT, DERBY CONFINDUSTRIA I PUBBLICI CONTRO I PRIVATI
Il "marchionnismo" si è fermato sul portone di Viale dell’Astronomia, sede della Confindustria. Perché lo strappo di Sergio Marchionne piace e seduce ma poi, a conti fatti, meglio temporeggiare, riflettere, non sconquassare il sistema. Non spezzare il ramo sul quale si è seduti, soprattutto se si appartiene alla categoria che l’Avvocato Gianni Agnelli chiamava i «professionisti» di Confindustria.Quelli che accumulano cariche, che amano gli intrecci, i giochi di potere, gli scambi nei corridoi e, oggi, molto di più nei territori che al centro confederale. Perché, ammesso che l’amministratore delegato della FiatChrysler sia l’innovazione e la modernità, l’irruenza della globalizzazione nella relazioni industriali senza mediazione politica, la Confindustria rimane tentata nel suo corpaccione in grisaglia dalla conservazione che attraversa le vecchie categorie produttive (metalmeccanici, chimici, elettrici e via dicendo) in continuità con il Novecento. Conservazione speculare e complementare a quella delle grandi organizzazioni sindacali dei lavoratori. Un po’ consociativismo sociale, un po’ concertazione triangolare. D’altra parte è nel dna di una lobby difendere se stessa dagli attacchi esterni e pure da quelli interni. Autoconservarsi. Se ne parla tantissimo nelle strutture confindustriali e se ne parla – a registratori spenti e davanti a taccuini chiusi con forme di autocritica del tutto inedite. Nulla, davvero, sarà più come prima nemmeno per la Confindustria.
La linea di Marchionne non è passata nell’ultima Consulta dei presidenti di metà dicembre e continua a non passare, al di là delle imbarazzate dichiarazioni di principio dei vertici di Viale dell’Astronomia. Non è un caso che proprio Marchionne abbia definito «un dettaglio» l’iscrizione o meno alla Confindustria delle sue newco nate per le nuove produzioni di Pomigliano e di Mirafiori. Ciò che conta, per il potente amministratore delegato italocanadese, è la governabilità degli stabilimenti e la rapidità dei tempi di reazione. Non i rituali confindustriali che tanto assomigliano a quelli sindacalpolitici descritti qualche anno fa dal sindacalistasociologo Bruno Manghi nel suo pamphlet "Tempo perso". «L’era degli sprechi – ha detto Marchionne tra Detroit e Torino, alla vigilia del referendum di Mirafiori – è finita. Perdere tempo, denaro, opportunità, sperperare risorse fisiche e intellettuali è distruttivo: è immorale». Lo diceva mentre gli uffici del palazzo confindustriale con specchi fumé nel quartiere romano dell’Eur rialzavano pigramente le serrande dopo quindici giorni di chiusura per le vacanze natalizie. Simbolicamente due mondi. Non a caso l’uomo del Lingotto ha deciso di fare da sé, di scriversi il suo contratto aziendale quando ha capito che per quello dell’auto avrebbe dovuto aspettare il tavolo di confronto tra Federmeccanica e sindacati convocato a periodicità bimensile. Forse un rapido contratto dell’auto, cioè per la Fiat, avrebbe potuto evitare la nascita delle newco fuori dai confini di Confindustria. E’ un’ipotesi che molti tra gli industriali sostengono, anche se non avrebbe risolto l’altro nodo: quello della rappresentanza sindacale e quello di affidare un ruolo nelle nuove fabbriche FiatChrysler esclusivamente ai sindacati firmatari. Modello americano. La fine, anche su questo versante, del protocollo Ciampi del ’93, nato e pensato in un’altra epoca economica, quella dell’inflazione a due cifre e della moneta nazionale.
Declina il contratto nazionale e forse un modello di relazioni industriali su base nazionale. Perché la reazione confindustriale allo schock marchionnesco non è identica da regione a regione, da settore a settore. Competere sul mercato globale o vivere in condizioni di protezione o quasi, non è la stessa cosa. Come non lo è gestire un grande gruppo o una piccola impresa; oppure un’azienda manifatturiera e una del terziario. E’ come se lo strappo del Lingotto abbia fatto esplodere tutte le contraddizioni interne alla grande associazione di Viale dell’Astronomia. Con le divisioni che attraversano le stesse categorie. Prendiamo i grandi gruppi. La Fincantieri ha deciso anch’essa di uscire dalla Confindustria.