EUGENIO OCCORSIO, la Repubblica Affari&finanza 17/1/2011, 17 gennaio 2011
PREZZI PAZZI DAL COTONE AL FRUMENTO
Mentre in Tunisia, in Algeria, in Egitto, scoppia nel modo più tragico l’intifada del pane, dopo gli episodi analoghi di qualche mese fa in Indonesia e Venezuela, negli Stati Uniti esattamente lo stesso fenomeno che l’ha provocata l’impennata dei prezzi internazionali del frumento del 58% in un anno è visto come una bonanza da una particolare categoria di operatori economici, gli intermediari di real estate: a differenza dei prezzi delle case, i valori dei terreni coltivabili non conoscono recessione bensì aumenti senza precedenti. La Federal Reserve di Chicago ha creato addirittura un indice che misura i prezzi dei terreni agricoli nel Midwest, salito del 10% nel 2010 con punte del 13% in Iowa e dell’11 in Indiana (mentre gli indici delle case sono scesi ulteriormente del 16%). Non stupisce che la John Deere abbia calcolato la settimana scorsa un miglioramento del 31% degli incassi dei farmer. Né che la Teachers Insurance & Annuity Association, il fondo pensione dei professori, abbia investito più di 2 miliardi in 400 fattorie, non solo negli Usa ma anche in Sudamerica, Australia, Europa dell’est. O che la George Washington University abbia investito 80 milioni di dollari in farmland coltivata a mais, compreso un appezzamento in Polonia.L’indice CrbReuters delle commodity è aumentato nel corso del 2010 del 17,8%, e ancora di più sono cresciuti altri indici specializzati, dal Dow Jones allo Standard & Poor’s. Durante l’anno appena concluso, i prezzi dell’alluminio, del rame, dell’oro e del cotone hanno battuto i primati di tutti i tempi (al primo posto il cotone con un +96%), argento e zucchero (cresciuti rispettivamente del 58 e del 14%) hanno raggiunto i massimi da trent’anni, il caffè (salito del 46%) da 13 anni, il cacao da 33 anni con un aumento del 43%, il palladio da 9 anni. Grano, mais (+67%) e soia (+33%) sono ad un passo dai livelli record dell’estate 2008. Ma quello che è rilevante è che tutto questo, a differenza di altre impennate del passato, sta portando ad un cambiamento strutturale nella maggior parte dei casi. «Bisogna distinguere: le commodity agricole risentono in maniera sicuramente duratura dei cambiamenti delle abitudini alimentari nei paesi in via di sviluppo, che comportano una domanda quantitativamente più alta e più orientata verso carne e uova, con la necessità di mangimi basati sui cereali», spiega Emmanuel Fages, responsabile della ricerca sulle commodity per l’energia alla SocGen di Parigi. «Se a questo aggiungiamo episodi specifici come la siccità in Russia l’anno scorso che portò addirittura ad un blocco dell’export di grano, o le alluvioni in Australia di questi giorni che stanno distruggendo immense coltivazioni, la combinazione fra aumento della domanda e contrazione dell’offerta non può che portare ad impennate dei prezzi. Specularmente, il riso non conosce grandi sbalzi di prezzo perché l’offerta è costante». In questi casi la speculazione ha un ruolo minore. In altri effettivamente c’è più speculazione e quindi l’investimento diventa rischioso: «E’ tipico il caso del petrolio, che aumenta mentre i serbatoi di tutto il mondo sono stracolmi. Quanto all’oro, la componente prevalente è quella di benerifugio, tanto che si parla di gold currency anziché gold commodity. Non si compra certo per precauzione come per tanti prodotti agricoli o metalliferi».
Le diverse analisi che si incrociano in questi giorni sull’oro, peraltro, sono tutte proiettate al rialzo pur dopo l’aumento del 22% nel 2010. Per gli specialisti della Gfms, la più prestigiosa società di consulenza sui metalli di Londra, nuovi record sono probabili avanti nell’anno: le quotazioni potrebbero superare i 1500 dollari quest’estate e volare a 1600 entro fine 2011. Una stabilità che permette ad Alberto Quadrio Curzio, economista della Cattolica di Milano e vicepresidente dell’Accademia dei Lincei, di ipotizzare una sorta di eurobond garantiti in oro: «Le riserve auree potrebbero essere poste a garanzia di una serie di emissioni obbligazionarie internazionali, con il sicuro risultato di spuntare tassi molto convenienti. L’Italia e la Francia detengono ognuna 7880 milioni di once d’oro, la Germania ancora di più, e basterebbe una leva molto realistica di 2 per garantire prestiti pari al doppio di questi valori». In tutto il mondo, spiega Quadrio Curzio, le riserve auree ufficiali sono pari a 355 milioni di once, con gli Stati Uniti primo detentore e la Cina primo produttore (ha superato l’anno scorso il Sudafrica). Una ricchezza immensa, «da valorizzare in Eurolandia e da porre come scudo ai timori sui debiti sovrani».
Alla base del boom delle commodity è la favorevole combinazione di «ampia liquidità disponibile, ripresa economica in importanti aree mondiali, e anche un sentiment tendenzialmente favorevole nei confronti degli investimenti finanziari», sottolinea Sudakshina Unnikrishnan, commodities analyst della Barclays Capital di Londra. «I prezzi si manterranno elevati per un gran numero di mercati in tutto l’arco del 2011. Il rame come gli altri metallibase continuerà a trarre vantaggio dalla domanda cinese, l’oro dalle aspettative di inflazione e dall’incertezza sulle quotazioni di diverse monete, il mais dalla produzione di etanolo quale combustibile negli Stati Uniti che è tornata a pieno regime. E le derrate alimentari dall’aumentato fabbisogno». La stessa Barclays ha condotto un sondaggio fra gli investitori istituzionali, riuniti nell’Annaul Commodity Conference a Barcellona in dicembre: interessante è che più di un quarto (il 27%) abbia detto che il fattore di maggior pericolosità su questi mercati è la tenuta della Cina, e che non più del 26% abbia invece detto di temere una bolla speculativa. Il 24% viceversa ha affermato di aver paura di un eccesso di regolazioni.
Una certa quota di speculazione finanziaria è inevitabile, se si pensa che il flusso di denaro negli Etp (Exchange traded products), che a sua volta non è che uno degli strumenti puramente finanziari basati sulle commodity, è stato nel solo mese di dicembre pari a 156 miliardi di dollari, oltre 40 miliardi in più rispetto al dicembre 2009. Va poi rilevato che dei primi dieci titoli del 2010 per ammontare di contrattazioni alla Borsa di Londra, ben sette appartengono a società minerarie. Il primo in assoluto è quello Rio Tinto. Eppure, rispetto al passato, per la prima volta la maggior parte degli osservatori qualificati antepone il fattoremercato, nei vari comparti di riferimento, al fattorespeculazione che pure esiste in periodi di hot money come questo. Per ridurre ulteriormente la residua preponderanza del secondo rispetto al primo, ora l’americana Commodity Futures Trading Commission sta intraprendendo un giro di vite su più fronti. Intanto, ha cominciato a multare senza pietà chiunque si sia reso colpevole di operazioni che causano un non bona fide price. Scorrendo l’elenco, non poche sono le sorprese: un trader della ConAgra è stato multato per 12 milioni di dollari perché aveva strappato al rialzo il prezzo del petrolio il 2 gennaio 2008 per il solo gusto di possedere il primo contratto da 100 dollari. «Qualcuno colleziona stampe d’arte, noi stampe di denaro», si era giustificato in una email sequestrata dalla Cftc. La quale non si ferma certo qui: come parte della complessa riforma finanziaria voluta dall’amministrazione Obama, parte qualificante della quale è ovviamente la lotta alle speculazioni, sta emettendo una fitta serie di regole e disposizioni. Fra queste, il divieto di detenere più del 25% delle riserve fisiche di qualsiasi commodity. Nelle more della regolamentazione, si è scoperto che un singolo operatore (che altri non era che la banca JP Morgan), ha detenuto in un momento del 2010 il 90% di tutto l’oro esistente negli Stati Uniti. Anche per le derrate alimentari, le aziende del settore chiedono a viva voce freni alla speculazione, così come i manifestanti nelle strade di Tunisi in questi giorni. In America le motivazioni sono meno drammatiche e meno nobili: se la Heinz, regina del ketchup, ha fatto utilirecord nel 2010 perché il pomodoro non è salito, la Nestlé e la ConAgra registrano secche contrazioni e aumenti di spese molto pesanti.