Gaia Piccardi, Corriere della Sera 18/01/2011, 18 gennaio 2011
BECKHAM, TIGER E SCHUMI, L’ELISIR DELL’ETERNA RICCHEZZA
Se l’ultimo traversone con permesso di soggiorno su un campo di calcio ormai risale a trecentoquarantotto giorni fa (Roma-Milan 0-0, 7 marzo 2010, palla per la testa di un Dinho gioiosamente trotterellante verso la giubilazione) e se il piede (destro) da cui partì quel simulacro di immortalità vale ancora oggi, alla straordinaria velocità di 36 anni da compiere il 2 maggio, 900 sterline al minuto (il Tottenham sta contando gli spiccioli nel portafoglio), la colpa non è di David Robert Joseph Beckham. Lui non è più un vincente da un po’. È che lo disegnano così. Di bell’aspetto. Simpatico. Piacente e piacione. Perennemente conficcato nelle menti dei consumatori con la forza con cui la spada si piantò nella roccia. È l’effetto Beatles. Tu suoni Let it be e gli scarafaggi si arricchiscono. È il prolungamento di un diritto d’autore che esce dal playground e viaggia nel tempo, incredibilmente al netto di infortuni e scandali, trasformandosi in un’assicurazione sulla vita, perché uno come Beckham farà soldi anche novantenne all’ospizio, vendendo dentiere. Un prodotto senza scadenza. Chiedere, per informazioni, a Michael Jordan, che nella classifica di Forbes dell’anno scorso sorrideva al 20 ° posto con 55 milioni di dollari incassati tra giugno 2009 e giugno 2010, undici anni dopo, cioè, l’ultimo anello con i Bulls. «Nell’ultimo decennio è cambiato tutto: il modo di comunicare e di fare sponsorizzazioni — spiega Carlo Pernat, l’uomo che lanciò Valentino Rossi, manager di Capirossi e Simoncelli, esperto di management sportivo —. Oggi gli sponsor cercano il personaggio e non l’azienda, Valentino e non la Ducati, Alonso e non la Ferrari, perché l’atleta significa immagine, visibilità a 360 gradi, gossip anche se non vince» . L’avvento di Internet, dei canali satellitari, la rivoluzione sociale di Facebook hanno avuto un impatto enorme anche sullo sport e le sue regole: «Lo scenario si sposterà sempre più sui personaggi: già oggi sono le facce giuste a procurare gli sponsor alle aziende per cui lavorano, e non più viceversa» . Il fenomeno delle icone con il conservante incorporato è parecchio diffuso sugli scaffali del supermarket dello sport. Non si spiegherebbe, sennò, perché Tiger Woods, travolto dalle amanti e a secco di Majors dal 2008 (il 2010 ha segnato il suo anno di digiuno totale di titoli per la prima volta in carriera), è risultato ancora una volta il golfista più ricco: da 128 a 90 milioni di dollari a stagione, il 30%in meno rispetto al 2009 come ha valutato Sports Illustrated però Phil Mickelson, secondo, è staccatissimo (61 milioni di dollari). Michael Schumacher non sbanca un Gran Premio da Shanghai 2006 e un titolo mondiale dal 2004, eppure nel 2009 la Mercedes ritenne degno il valore commerciale del suo ritorno alla F1 di un triennale da 24 milioni di euro. Proprio come Nike l’anno scorso decise di investire 70 milioni di dollari per mettere sotto contratto fino al 2018 la numero 16 del mondo del tennis: Maria Sharapova, ultimo Slam conquistato nell’Australian Open 2008. Il prossimo colpo è Ian Thorpe, che in Australia pare si stia allenando per tornare al nuoto. Uno yogurt che non diventa mai acido. Per i bulimici del business e del denaro, comunque vada, sarà un successo.
Gaia Piccardi