Francesco Sisci, Il Sole 24 Ore 18/1/2011, 18 gennaio 2011
CONFUCIO? NON TRAMONTA MAI
Confucio? Non tramonta mai
Il superamento di Mao passa (anche) dalla riscoperta del passato
Con una ritualità che è pari solo a quella della Chiesa, la Cina ha eretto la settimana scorsa una statua di Confucio nel suo cuore politico, a piazza Tienanmen, davanti al celebre ritratto di Mao e all’obelisco moderno per gli eroi del popolo, i due simboli che materialmente hanno definito l’identità nazionale per 60 anni.
Si tratta di un’affermazione politica, non di una celebrazione artistica, che ridefinisce la missione ideologica del paese, come la rimozione delle immagini dei santi dalle chiese fu l’affermazione della riforma protestante e diede inizio a un lungo nuovo periodo storico ed economico in Europa e nel mondo, con la rapida crescita del capitalismo moderno.
In questo caso non si tratta di ribellarsi contro la sede dei papi, ma di dare nuovo senso alla Repubblica popolare che il 1° ottobre scorso ha cominciato una nuova fase celebrando il suo 61° anniversario. I cicli astrali-politici tradizionali cinesi sono di 60 anni e nel 2010 ne è cominciato un altro. Pechino ha deciso di smettere il vecchio armamentario maoista dei grandi discorsi con le adunate oceaniche e ha preferito una mesta cerimonia in cui tutto il vertice dello stato, seguito da una folla di funzionari e gente comune, porgeva fiori e omaggi all’obelisco.
La statua di Confucio è il sigillo di questo cambiamento, ma anche un potente segnale alla parte separata della patria, la repubblica nazionalista cacciata dal continente e arroccata dal 1949 sull’isola di Taiwan. Qui, in questi 60 anni, Confucio è stato il faro. Inoltre, si tratta di fare un gesto di unità storica. Quest’anno è il centenario della rivoluzione che rovesciò la dinastia mancese e instaurò, per la prima volta nei millenni cinesi, non un sistema imperiale ma uno repubblicano. Mao è solo uno dei figli di quella rivoluzione, anche se senza dubbio quello più importante.
Si tratta di un cambiamento teologico rispetto al passato, come il giorno e la notte, se pure ammantato di quella cortesia e di quel manierismo che in Occidente apparivano esoterici e quindi erano definiti "orientali". Così i militanti delle varie fazioni sono già insorti. Gli ultimi stra-maoisti sottolineano che il grande timoniere aveva speso tutte le sue energie intellettuali contro Confucio, nel tentativo di sradicare la sua influenza dal paese. Gli extra-confuciani fanno il coro, dicendo che il prudente filosofo conservatore di 25 secoli fa non ha niente a che spartire con il ribelle "senza legge e senza dio" (mei fa mei tian), come Mao si definiva. Gli accademici in mezzo tessono la tela delle coincidenze. Colgono le citazioni confuciane nella prosa lucida e velenosa di Mao, e dicono: in fondo anche lui non è sfuggito all’influenza dell’antico filosofo. Forse però è di più del confucianesimo vero o presunto di Mao, si tratta di qualcosa alla base della stessa tradizione cinese.
Il confucianesimo divenne ideologia ufficiale dell’impero intorno all’epoca in cui Augusto fondava il suo impero, e già allora a Confucio vennero attribuite una caterva di opere che certamente non poteva avere scritto lui. Più tardi i cambiamenti di questa ideologia dominante sono stati forse più grandi di quelli che ha subito la tradizione giudaico-cristiana in Occidente. Il confucianesimo assorbì la tradizione totalmente estranea indiana del buddismo, e anche antichi nemici, come quel filosofo Mozi che nel IV secolo a. C. dedicò almeno due capitoli delle sue opere a provare la sciocchezza del pensiero di Confucio. Si tratta in realtà di una tendenza fortemente sincretica, "cattolica", del sentimento cinese che lo stesso Matteo Ricci, il gesuita con la missione di convertire la Cina nel 1600, colse quando si fece (anche lui!) confuciano. Tutto deve essere prima cinese (confuciano) e poi qualcos’altro, buddista, comunista, cristiano.
È anche una specie di pietà per i vinti. Tra la gente mentre c’è timore o rivalità rispettivamente per il Giappone, l’ex nemico appena superato economicamente, o l’America; c’è affezione per i russi in fuga da quella Siberia su cui premono milioni di emigranti cinesi. Giappone e America non sono stati ancora digeriti dalla grande balena confuciana, mentre i russi, non più una minaccia, sono dimenticati per le pericolose guerre di confine. È quello che è successo con i mancesi o i mongoli, che invasero e conquistarono la Cina; non erano cinesi ma oggi sono considerati tali. Eppure in questi cento anni è accaduto qualcosa di diverso e più profondo rispetto a tutti i pur drammatici cambiamenti del passato. L’Occidente, che in Cina ha preso le forme del comunismo o del capitalismo, ha rotto mille equilibri e sistemi antichi, i quali però non sono stati annientati.
La statua di Confucio davanti a Mao è la fine di una separazione ideologica netta fra storia imperiale e storia moderna, è il riconoscimento che la Cina di oggi è, e non può che essere, una specie di sandwich: da un lato il passato millenario, dall’altro il sussulto e il rivolgimento feroce e radicale dei primi 60 anni di Repubblica popolare. È una Cina nuova davvero che si è alzata in piedi, quella (come vogliamo chiamarla?) del capitalismo confuciano.