Giorgio Barba Navaretti, Il Sole 24 Ore 16/1/2011, 16 gennaio 2011
SE L’INFLAZIONE SCIOGLIE IL NODO DEL CAMBIO
La rapida crescita dell’inflazione potrebbe cambiare la posizione della Cina su diversi fronti di negoziato globale. L’aumento dei prezzi al consumo, che nelle ultime rilevazioni ha superato il 5%, sarà probabilmente la principale preoccupazione del presidente Hu Jintao, quando discuterà con gli americani di tasso di cambio, diritti di proprietà intellettuale, opportunità d’investimento.
Il problema cinese è in effetti serio. Se i beni costano di più, si riduce la competitività delle esportazioni. Nei prossimi mesi, chi comprerà beni dall’Impero di mezzo, dalle scarpe ai componenti industriali, troverà listini maggiorati e una discreta rasatina di margini. Questi aumenti potrebbero avere un impatto significativo sulle quantità esportate, soprattutto visto che la trasformazione industriale a basso costo è l’asse portante della competitività cinese.
La questione ha soprattutto implicazioni sociali. Il modello di sviluppo industriale si fonda sul transito di un’immane forza lavoro dalla campagna verso le città. E gli uomini e donne motore delle macchine industriali cinesi hanno comunque redditi non lontani dalla sussistenza. Se perdono il posto o potere d’acquisto, le macchine rischiano di fermarsi. La Cina sarà pure la seconda economia del mondo, ma non dimentichiamo che il Pil medio pro capite per ora non supera i 4.200 dollari. Il che anche significa che milioni e milioni di persone nelle campagne vivono ancora in condizioni di estrema povertà. Insomma, i cittadini cinesi rimangono comunque i principali acquirenti dei beni di consumo prodotti dall’industria nazionale e la crescita dei prezzi determinerà inevitabilmente una perdita del loro potere d’acquisto.
Ora veniamo ai rapporti globali. La lotta all’inflazione limita la capacità della Cina di mantenere un tasso di cambio sottovalutato. Per quanto anche il segretario del Tesoro degli Usa Geithner abbia nei giorni scorsi ribadito che la questione del cambio è cruciale nelle relazioni con la Cina, in realtà il nodo è destinato a sciogliersi da solo.
La quasi parità con il dollaro non solo alimenta il surplus commerciale e surriscalda l’economia, ma favorisce anche l’ingresso d’investimenti finanziari soprattutto dagli Usa, alimentando la crescita delle riserve e la creazione interna di moneta. Una rivalutazione del cambio permetterebbe di attutire questo effetto. E per quanto riguarda le esportazioni, la perdita di competitività attraverso una rivalutazione dello yuan è meno grave che attraverso la crescita dei prezzi interni. Se il cambio si rafforzasse e i prezzi rimanessero stabili, il potere d’acquisto delle fasce più deboli sarebbe comunque tutelato. Non solo, ma i beni importati costerebbero meno, riducendo anche la pressione dell’aumento dei corsi delle materie prime.
Ma a sciogliersi non sarà solo il nodo del cambio. L’inflazione è una spia d’allarme più generale sull’efficacia della strategia industriale cinese. Trasformare manufatti a basso costo è possibile solo se il continuo afflusso d’immigrati dalle campagne mantiene basso il potere contrattuale dei lavoratori e la loro capacità di organizzarsi. Questo afflusso non è infinito per ragioni demografiche. E anche se può continuare ancora per qualche tempo, comunque il miglioramento delle condizioni del lavoro è inevitabile.
A questo punto diventa necessario spostare la competitività del paese verso attività più avanzate e verso lo sviluppo di tecnologie proprie. Non a caso uno degli obiettivi principali della visita americana di Hu è il varo di una strategia comune per la difesa dei diritti di proprietà intellettuale. Anche questo è un punto estremamente controverso e fonte di frizione con le cancellerie occidentali. Per quanto la Cina abbia finora "piratato" le proprie competenze tecnologiche, un ulteriore upgrading dell’apparato industriale può solo avvenire attraverso scambi e collaborazione con le aziende occidentali, impossibili senza regole chiare e applicabili sui diritti di proprietà intellettuale.
La concorrenza sui costi è sempre stata percepita come corsara e sleale dall’Occidente. In genere per errore. Raramente nel dibattito si tiene conto dell’enorme beneficio che le nostre economie traggono, in quanto acquirenti, dal basso costo delle merci e componenti cinesi. Ora che con lo sviluppo la Cina diventa più cara, le nostre imprese dovranno imparare a confrontarsi con essa su terreni diversi, sempre più avanzati, dove collaborare e comportarsi da buoni cittadini globali sarà indispensabile per tutti.