Nino Ciravegna, Il Sole 24 Ore 16/1/2011, 16 gennaio 2011
“IO, CAPO, ALLA FRONTIERA DEL MONTAGGIO”
Li chiamano impiegati, 40 anni fa erano definiti, spregiativamente, capetti. Nell’80 hanno promosso e fatto la marcia dei 40mila, giovedì e venerdì il loro voto ha pesato in modo determinante sul referendum. Adesione massiccia al sì, hanno votato in 441, solo 20 hanno barrato la casella del no.
Li chiamano impiegati, in realtà sono tecnici con professionalità elevate, hanno mansioni che richiedono competenze di robotica e meccatronica, specializzazioni inimmaginabili pochi anni fa. Gestiscono squadre o complessi programmi informatici, rischiano di diventare i "colpevoli" della sconfitta del no. Rischia di riaprirsi una frattura che sembrava superata, Giorgio Airaudo, responsabile auto della Fiom, non ci ha girato intorno: «Marchionne ha vinto - ha detto ieri - solo grazie ai voti dei suoi 400 capi e 40 uomini dell’ufficio del personale».
«Ma anche noi siamo lavoratori e siamo dipendenti, proprio come gli operai». Il signor G. è un capetto, per dirla alla sindacalese. Ha votato sì, «la mia decisione ha seguito lo stesso processo della gran parte dei votanti: ho pensato che devo fare di tutto per mantenere il posto di lavoro, so bene che in una situazione di crisi così diffusa sarebbe difficile riallocarmi o riqualificarmi. Giuro, nessuna pressione dall’alto, anche perché nel segreto dell’urna non ti controlla Marchionne né il delegato sindacale. Decidi solo tu».
Il signor G. è un capo Ute, unità tecnologica elementare, gestisce una cinquantina di operai al reparto montaggio, terra di frontiera, con una sindacalizzazione spinta: nell’immaginario collettivo è dove si concentra il lavoro pesante, alienante e ripetitivo. Capo al montaggio, lavoro difficile.
«La cosa che mi ha più turbato, ferito, in questo referendum - spiega il signor G., entrato in fabbrica nell’88 come semplice operaio, passando via via a competenze maggiori - è stato il livello di propaganda che ha portato a una disinformazione quasi scientifica. Io ho cercato in tutti i modi di tranquillizzare la mia squadra, ho spiegato che, accordo in mano, non cambia niente per chi lavora seriamente. Ma molti hanno ascoltato chi urlava di più, in tanti si sono limitati a leggere i volantini o singole parti dell’accordo evidenziate in modo subdolo».
C’è un qualche punto dell’accordo che semplificherà il suo lavoro di capo Ute? «Ci sono punti che ci permetteranno di lavorare meglio. Meglio per tutti, non solo per me. Il caso degli straordinari è esemplare: prima il sindacato concordava gli straordinari, ma spesso la gente non si presentava, mettendo in difficoltà tutta la squadra. L’accordo prevede 120 ore di straordinario obbligatorio che, per inciso, significa un notevole aumento del reddito. Così potremo seguire meglio le esigenze dei clienti, che troppo spesso abbiamo dimenticato».
C’è un punto specifico dell’accordo particolarmente odiato dal suo team? «La riduzione, 10 minuti, della pausa, sono state create tensioni inutili. A dicembre ho fatto vedere ai miei un articolo di Repubblica, che non può certo definirsi un giornale antisindacale, in cui si evidenziava come nelle fabbriche dei concorrenti europei le pause erano inferiori».
La riduzione della pausa mette ansia, pesa. Il signor G. non è d’accordo: «Io ho lavorato nelle vecchie linee, so come era organizzato il reparto qualche decennio fa: gli operai dovevano alzare pezzi pesanti , facevano un lavoro fisicamente impegnativo, molto ripetitivo. Oggi non è più così, i robot alleviano la fatica, nelle Ute si cambiano spesso per mansioni proprio per evitare logorio a singole muscolature, diventa tutto meno alienazione. Questo lavoro di squadra tutela loro, mentre io ho il vantaggio di avere persone che, conoscendo più mansioni, possono coprire tutte le necessità».
Un lavoro fisico meno intenso, per questo il signor G. dice «che dieci minuti in meno non sono un dramma, c’è stata troppa propaganda. Non si rischia di perdere il lavoro per paura di una pausa più corta».
Cosa succederà adesso? Lunedì Mirafiori è ferma per cassa integrazione, «da martedì mi sono ripromesso di portare serenità nella squadra, fare clima. Cercherò di tranquillizzare i più esasperati, dopo la propaganda bisogna tornare a ragionare».