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 2011  gennaio 18 Martedì calendario

UN BAMBINO APPENA NATO GIÀ PRONTO PER ANDARE A SCUOLA

Nella Sparta antica, a set­te anni i bambini venivano staccati dalla famiglia per im­parare l’arte della guerra. Nell’ Inghilterra moderna, invece, vogliono spedire a scuola i bambini, o meglio i neonati, fin dalla nascita. Regressione o semplice boutade?
Il Times , che ha pubblicato ieri questa possibilità, non scherza per niente. E riprende un rapporto della commissio­ne del governo britannico se­condo cui l’età scolare dovreb­be cominciare alla nascita.
Lo studio, predisposto dal parlamentare laburista Graham Allen per il governo di David Cameron, sostiene che al primo vagito ogni suddi­to di Sua Maestà dovrebbe es­sere iscritto al primo anno e poi proseguire con anni suc­cessivi parallelamente all’età. Il primo ciclo, ribattezzato «gli anni delle Fondamenta» do­vrebbe avere dignità rispetto ai cicli di istruzione primario e secondario.
L’obiettivo è di coinvolgere i genitori e far loro capire che il «ciclo dello sviluppo sanitario e educativo scatta al momen­to del parto, non cinque anni più tardi quando i bambini en­trano alla scuola elementa­re ».
Ma per quale motivo Allen è arrivato a questa conclusio­ne? «Troppi bambini - scrive nel rapporto - arrivano all’ini­zio della scuola vera e propria impreparati. E quindi serve il supporto alle famiglie da par­te del governo». Entro 18 me­si, dunque, il governo dovreb­be predispo­rre un piano di so­stegno per le famiglie per i pri­mi cinque anni del nuovo ci­clo durante il quale il governo sarebbe tenuto a monitorare periodicamente lo sviluppo sociale e emotivo di ogni bam­bino del Regno Unito. Fin qui l’Inghilterra.
Ma in Italia cosa ne pensa­no gli esperti di una proposta così dirompente? «Mi sembra più una battuta che un’affer­mazione di principio», spiega Mauro Grimoldi presidente dell’ordine degli psicologici della Lombardia. «Mi lascia un po’ freddo e indifferente l’idea di socializzazione che parte dal momento zero dalla nascita. È un estremismo, visi­vamente sembra quasi di vo­lerlo rapire dalle braccia della mamma». Grimoldi, spiega, infatti, che prima degli otto­nove mesi, il bambino non ha alcuna percezione del mondo esterno. «Il sè e l’altro sono me­scolati - racconta - : gli stimoli sono ripetitivi. Il neonato av­verte il profumo della mam­ma, il contatto, e in questo mo­do si crea una sensazione di maggiore fiducia. Insomma, la socializzazione prima dei 8-9 mesi non presenta nessu­na utilità».
Verso l’anno però le cose possono cambiare e ben ven­gano gli asili nido, natural­mente di buona qualità e cor­redate da educatrici che siano all’altezza della delicata pro­fessione svolta. «In questi casi - aggiunge l’esperto - i bambi­ni crescono meglio, sono più svegli e la socializzazione del bambino anticipata al primo anno di vita è ormai diventato un vantaggio sia per i genitori sia per i bambini». E anche il futuro del bambini diventa un percorso meno faticoso. Nell’ età scolare diventano più bra­vi degli altri. Lo conferma an­che una ricerca promossa dal­la Fondazione Agnelli da cui emerge che frequentare un asilo nido valido, accogliente e di alto livello didattico nei primi mille giorni di vita, ossia da 0 a 3 anni, fa diventare i bambini più socievoli, più au­tonomi, più creativi nel gioco e più disponibili verso i com­pagni. In età scolare, poi, di­ventano tra i più bravi della classe. Un riscontro oggettivo. Se si esaminano i risultati de­gli ultimi test Invalsi (ossia sul livello di preparazione) per la seconda e la quinta elementa­re nell’anno 2009/10, emerge che i bambini habitué degli asili nido hanno una prepara­zione migliore sia in italiano (punteggio più alto di un pun­to e mezzo) che in matemati­ca (di mezzo punto) rispetto ai loro coetanei che sono stati a casa con la mamma fino a tre anni. Ma l’Italia è il paese dei bamboccioni e soprattutto al Sud persiste anche una forte diffidenza all’idea di «far usci­re da casa» i propri piccoli al­meno fino ai tre anni di vita. Una recente ricerca della Ban­ca d’Italia rileva che ben il 58% dei genitori italiani ritiene che nella prima fase della vita è preferibili che i bimbi restino con le mamme. E molti psico­logi e psicoterapeuti condivi­dono questa posizione, met­tendo in guardia dal senso di «sradicamento e di abbando­no » che può nascere in bebè affidati a sette, otto mesi a cu­re esterne alla famiglia.