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 2011  gennaio 18 Martedì calendario

L’ULTIMA VENDETTA DEL POPOLO: LA CACCIA AI PARENTI DI LEILA

Hanno alzato le serrande, ti­midamente. Lo ha chiesto la tv na­zionale. Così qualche commer­ciante di Tunisi ha deciso di aprire ieri il negozio, nonostante la pau­ra e la tensione. La popolazione ha bisogno di pane, di acqua, di farina, di olio e molti ieri sono ri­masti ore in coda davanti ai for­nai. È stato forse il primo giorno di calma per Tunisi dopo il dissenso e le proteste che hanno bloccato la città. Gli abitanti si avventurano fuori verso le otto, quando anche taxi e automobili iniziano a circo­lare, tre ore dopo la fine del copri­fuoco. Sono ancora poche però le botteghe o i caffè aperti nel cen­tro, attorno alla via principale, ave­nue Bourguiba, che è stata il tea­tro delle manifestazioni e delle vio­lenze e che oggi è militarizzata.
È l’ora del dialogo in Tunisia, dell’annuncio di un nuovo gover­no. Ma se di giorno è l’unità nazio­nale a essere il centro delle atten­zioni, la notte, quando il coprifuo­co cala sulla capitale e sul resto del Paese, è ancora l’ora degli scontri, dei regolamenti di conti e dei sac­cheggi. Durante il week-end, do­po la fuga del presidente Zine El Abidine Ben Ali alla volta della Arabia Saudita, la rabbia popola­re si è incanalata contro le proprie­tà e gli immobili dei familiari del rais e soprattutto del clan legato alla moglie. Leila Trabelsi e il suo entourage sono nominati in ogni conversazione come la causa sca­tenante della rivolta della piazza. «Siamo giovani e non abbiamo nulla - gridava ancora ieri un uo­mo di 30 anni durante una manife­stazione contro la formazione del nuovo governo - loro avevano tut­to », ha detto riferendosi alla «Fa­mille », la famiglia presidenziale.
E oggi che la calma sembra lenta­mente tornare nella capitale, i luo­ghi simbolo del potere del clan Ben Ali assaliti dalla rabbia popo­lare sono diventati una specie di attrazione turistica capace di cata­liz­zare le frustrazioni della popola­zione. Sono giovani studenti, membri della borghesia, tassisti e lavoratori i tunisini che in queste ore sono andati a fare visita alle tre ville saccheggiate nei giorni scorsi da gruppi di giovani arrabbiati. Moncef Trabelsi, il fratello di Lei­la, abitava in una casa di 400 metri quadrati con piscina nel quartiere chic di Gamart, a nord ovest di Tu­nisi.
Ora il luogo è devastato, le porte sono state divelte e c’è anco­ra chi se ne va con un souvenir tra le mani: un libro o qualche coccio. Anche altre due ville del clan a Tu­nisi sono state prese d’assalto: quella di Moez e quella di Adel, al­tri fratelli della ex Première Da­me.
«La famiglia ha accumulato ric­chezze lasciando fuori il resto del­la popolazione», racconta l’attivi­sta e giornalista Kamel Labidi, spiegando così la rabbia della po­polazione.
È soprattutto contro le proprie­tà e non contro le persone che si accanisce la rabbia della popola­zione nei confronti dei vinti. Ma è stato versato anche del sangue: Imed Trabelsi, nipote del presi­dente, noto per essere finito in uno scandalo giudiziario in Fran­cia per il furto di uno yacht, è mor­to in un ospedale militare dopo es­sere stato pugnalato. E molti altri assalti rimangono forse coperti dalle tenebre. Fino a due giorni fa si è sparato in molti quartieri della città durante tutta la notte e dome­nica sera, approfittando del copri­fuoco, l’esercito ha circondato il palazzo presidenziale per stanare alcuni fedelissimi del presidente che sarebbero rimasti nascosti nei corridoi del potere. La residen­za presidenziale si trova a Cartha­ge, un quartiere non lontano dall’ aeroporto. I passeggeri di un volo Roma-Tunisi, avvertiti dai paren­ti dell’incursione, durata ore, han­no applaudito entusiasti e cantato l’inno nazionale quando l’aereo ha sorvolato il palazzo presiden­ziale, circondato dai blindati. Qualcuno ha pianto. «Viva la Tuni­sia », è stato il benvenuto del capi­tano all’atterraggio.
Grandi momenti di ottimismo si mischiano in queste ore in Tuni­sia a tensioni e ombre che rendo­no instabile la situazione. E sono proprio gli scontri tra l’esercito e le guardie armate fedeli al presi­dente a rendere ancora difficili le notti di Tunisi. «Il presidente quando è scappato ha dato ordine ai suoi fedelissimi armati di far ca­dere il Paese nel caos - rivela una fonte vicino al regime- ora l’eserci­to sta cercando di mettere ordine. Ma non gli resta ancora molto da fare».