ANTONIO SALVATI, FLAVIA AMABILE, La Stampa 18/1/2011, pagina 27, 18 gennaio 2011
Comprano un figlio per 25 mila euro (2 articoli) - Lo avevano chiamato Gennaro e lo portavano a spasso per Cervaro, un piccolo centro in provincia di Frosinone, come se fosse davvero figlio loro
Comprano un figlio per 25 mila euro (2 articoli) - Lo avevano chiamato Gennaro e lo portavano a spasso per Cervaro, un piccolo centro in provincia di Frosinone, come se fosse davvero figlio loro. Ma non era così: Gennaro, cinque mesi appena, lo avevano «ritirato», proprio come si fa con un pacco, in Veneto nei primi mesi dell’anno scorso. E lo avevano anche pagato: anzi no, dopo un acconto stavano finendo di versare la somma pattuita a rate, così come si fa con un elettrodomestico. Diecimila euro al momento della consegna, circa cinquemila in una seconda fase e il resto - altri diecimila euro più o meno - quando sarebbero spuntati fuori i documenti che avrebbero certificato che Gennaro era davvero stato adottato dalla coppia. Tutto falso naturalmente, visto che la mamma, quella vera, è ucraina e ha appena vent’anni. Sarebbe stata proprio la tranquillità con cui la coppia di cinquantenni - lei originaria dell’agro aversano, lui di etnia rom - mostrava il piccolo ad alimentare le chiacchiere del paese. La coppia aveva lasciato la Campania da qualche anno e si era stabilita a Cervaro, dove era pronta ad avviare un’attività nel campo della compravendita di preziosi. Le voci, insistenti, hanno trovato una conferma nelle indagini dei militari di Cassino, che sono entrati in azione dopo aver filmato, era il 28 luglio scorso, la consegna, da parte della coppia acquirente, di cinquemila euro in contanti contenuti in un pacco. I coniugi furono fermati e poi sottoposti agli arresti domiciliari. Non erano riusciti a dimostrare ai carabinieri che il bambino fosse il figlio. E anche la permanenza della coppia in un albergo di San Giorgio a Liri, sempre nel Cassinate, giustificata come viaggio di piacere, aveva insospettito non poco. Fuggivano i due, perché chi aveva messo in piedi la compravendita del piccolo Gennaro iniziava a battere cassa. Secondo la ricostruzione degli inquirenti gli accordi erano chiari: per velocizzare l’affidamento di Gennaro dovevano essere pagati venticinquemila euro in due tranche. I mediatori però, quando hanno capito che per legalizzare l’adozione sarebbero dovuti trascorrere almeno altri due o tre anni, hanno cominciato a pressare la coppia per avere la parte restante del denaro. Così era stata prevista una terza rata, quella di cinquemila euro, il cui pagamento era stato filmato dai militari dell’Arma. I mediatori erano una coppia di ucraini, gli stessi che avevano trovato la donna incinta pronta a cedere il figlio. Ieri, al termine di diversi mesi di indagini, sono stati sottoposti agli arresti domiciliari. Con loro una coppia di coniugi residente nell’agro aversano e legata da un rapporto di parentela con gli acquirenti, la madre del piccolo Gennaro e un avvocato, anch’egli residente nell’agro aversano. Era proprio il legale, stando alle accuse, a dare un «contributo tecnico» alla compravendita. Il suo compito sarebbe stato quello di rendere «legale», per quanto possibile, l’adozione del neonato acquistato. Tutti e sei sono ritenuti responsabili, in concorso tra loro, del delitto di soppressione di stato civile di minore e alterazione di stato. Il timore è quello che il caso del piccolo Gennaro possa non essere l’unico «curato» dalle persone coinvolte nella vicenda. Dal canto suo il bambino sottratto ai suoi compratori è ora ospite in un istituto specializzato in provincia di Roma. La sua mamma, ai domiciliari come tutti gli altri, è stata individuata con certezza grazie all’esame del Dna. Il lavoro degli investigatori è concentrato sullo studio dei documenti che sono stati sequestrati durante le perquisizioni nelle abitazioni degli indagati. Il sospetto che ci siano in Italia altri casi come quelli del piccolo Gennaro purtroppo è forte. *** Il trucco è semplice finto riconoscimento già in ospedale - La più decisa è Melita Cavallo, presidente del Tribunale dei Minori di Roma e una lunga carriera a occuparsi di bambini e giustizia. «Le vendite di bambini? Casi isolati, non un fenomeno diffuso come venti o trenta anni fa». In quegli anni era presidente del Tribunale dei Minori di Napoli e ricorda bene quello che accadeva. «A vendere i bambini negli anni Ottanta erano donne anche istruite e non in condizioni di disagio economico come accade ora», spiega. Ad essere cambiate negli anni successivi sono molte cose. «Innanzitutto le donne. Ora è molto più difficile che si trovino in una condizione sociale e psicologica tale da arrivare a vendere i propri bambini. E poi è il risultato dell’attività investigativa decisamente ben organizzata». Il trucco, da anni, è sempre lo stesso. In gergo tecnico viene definito «riconoscimento non veridico». Una donna va a partorire in ospedale da sola. Al momento della registrazione all’anagrafe un uomo va a riconoscere il figlio, lo inserisce nel suo nucleo familiare e se lo porta anche a casa. E nessuno può dirgli nulla perché ne è il legittimo padre. Dopo qualche tempo anche la moglie dell’uomo - diversa dalla donna che ha partorito - accoglie il bambino come se si trattasse di una scappatella perdonata. E il gioco è fatto. I casi emersi in questi ultimi anni si contano sulla punta delle dita ma questo non vuol dire che il fenomeno debba essere sottovalutato, spiega Barbara Forresi del Centro studi di Telefono Azzurro. «Nel 2007 sono state 270 le persone denunciate in Italia per tratta di minori. All’interno di questa tipologia rientrano molti tipi di sfruttamento: dall’accattonaggio al lavoro, fino alla vendita di organi ma anche i casi di vendita a coppie senza figli. E 270 denunce l’anno non sono poche, poiché si tratta solo della punta dell’iceberg. Il resto, quello che resta sommerso è la parte più consistente ma riuscire a quantificarla è impossibile perché i minori non ne parlano, un po’ perché sono sotto minaccia, un po’ perché non vogliono che si sappia, a volte perché essi stessi non lo sanno perché si tratta di episodi avvenuti quando erano troppo piccoli». Nel 2008 l’organizzazione Save The Children ricordò nel suo rapporto due casi emersi. «Da ricerche e indagini giudiziarie come quella condotta dalla Squadra Mobile della Questura di Pordenone nel 2004 e che ha portato alla luce una compra-vendita illegale di neonati tra Bulgaria ed Italia, o la più recente operazione “Ladri di bambini” grazie alla quale è stata bloccata la vendita, già pattuita, di una neonata di venti giorni ad una coppia italiana, a scopo di adozione illegale». Nel caso dell’operazione “Ladri di bambini” «le donne venivano a partorire in Italia e con il solito trucco del finto riconoscimento avveniva il passaggio legale», ricorda Raffaela Milano, responsabile dei Programmi Italia di Save The Children. «Per questo motivo - aggiunge - siamo convinti dell’importanza della residenza anagrafica dei bambini a livello internazionale. È l’unico modo per seguire il percorso e lo sviluppo dei bambini ed evitare che si perdano nel nulla». Per Roberta Lerici, capo Dipartimento Infanzia e famiglia dell’Idv e responsabile del Movimento Infanzia Lazio, «il fenomeno esiste ed è anche ben radicato. Basti ricordare quanti genitori si erano autodenunciati per aver acquistato un bambino all’epoca dell’inchiesta “Ladri di bambini”. C’è anche un altro aspetto di questo traffico meno noto e di cui anche in questo caso non esistono cifre, quello dei minori sottratti ingiustamente alle loro famiglie dai tribunali e affidati alle case-famiglia da cui poi vengono dati in affido ad altre coppie. Pur essendo convinta che la gran parte degli operatori è attenta e svolge con grande professionalità il proprio lavoro c’è anche una certa quantità di loro che approfitta di genitori non abbienti o di basso livello culturale, in particolare quando ci sono dei bambini inferiori ai quattro anni. Anche su questo è necessario vigilare da parte della magistratura e degli operatori sociali». FLAVIA AMABILE