Roberto Giardina, ItaliaOggi 18/1/2011, 18 gennaio 2011
IL SINDACATO TEDESCO NON È LA FIOM
Durante le trattative per la Fiat si è citato spesso il modello tedesco, al solito senza precisare, o spiegandolo parzialmente. Come sempre avviene anche quando si parla di sistema elettorale alla tedesca. La Mitbestimmung, la cogestione, regola la partecipazione dei lavoratori alle scelte aziendali ed è sancita a partire dal 1979 dalla Costituzione (ma veniva citata anche nella Carta della repubblica di Weimar).
La cogestione non vale solo per gli operai ma per tutti, compresi gli studenti. Importante è vedere come ci si regola concretamente.
Un rappresentante dei dipendenti siede nel consiglio di direzione delle grandi aziende. Sa, dunque, quali saranno le scelte industriali, e può dire la sua. Ma a nessun sindacalista tedesco salterebbe in mente di voler metter bocca su quale modello verrà fabbricato: la lussuosa Phaeton, la fallimentare ammiraglia della Volkswagen, che doveva fare concorrenza alla Mercedes, o un’utilitaria. Esprimerà il suo parere sulle conseguenze che, casomai, potrebbe avere sui ritmi di lavoro. E, punto essenziale, in Germania esiste un solo sindacato che rappresenta i metalmeccanici, la IG Metall, il più grande al mondo. Non esistono organizzazioni minori che possono mettere il loro veto sugli accordi.
Il diritto di sciopero è ovviamente tutelato, ma anche regolato: prima di proclamarlo bisogna chiamare al voto gli iscritti, che dovranno approvarlo con almeno il 75% di sì. Anche in questo caso lo sciopero non è automatico, ma il sì viene utilizzato come ulteriore arma di pressione sui datori di lavoro.
Per tradizione i sindacalisti si preoccupano, nell’ordine, prima dell’occupazione, quindi delle condizioni di lavoro e, infine, del livello salariale. Anni fa il sindacalista Peter Hartz ideò e realizzò per la Vw la settimana supercorta, 28 ore in quattro giorni, con riduzione dei salari (intorno ai 200 euro in media, ma un metalmeccanico tedesco guadagna quasi il doppio di un collega italiano) e mobilità senza limiti. Si evitò il licenziamento di 10 mila operai, in attesa di tempi migliori.
Hartz, stretto collaboratore dell’allora cancelliere Schröder, fu poi coinvolto in uno scandalo aziendale: lui e i suoi collaboratori conducevano una costosa dolce vita (grandi alberghi e amanti) a spese della Vw. Un sistema per ammorbidire i sindacati? Può essere, ma le scelte compiute si rivelarono giuste. E Hartz, oggi settantenne, comunque si dimise rinunciando alla liquidazione. Bisogna aggiungere che la Vw è l’unica grande azienda statale e la politica, come sempre, anche in Germania, crea problemi se si occupa dall’interno della gestione aziendale. Come è avvenuto di recente per la Opel, che Schröder voleva cedere, al di là della logica, ai suoi amici russi.
In passato era diverso. Negli anni 70 la Vw era in crisi e chiese aiuto al governo. «Fate auto migliori o chiudete», rispose il cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt. E la casa di Wolfsburg tornò a ideare modelli di successo. Nessuno ha mai rivolto questo consiglio alla Fiat.
Cogestione o no, i sindacati stanno attraversando momenti difficili. La Dgb, l’unione dei sindacati, ha oltre 6 milioni di iscritti, in continuo calo. La IG Metall ne ha 2,3 milioni, quasi 400 mila in meno rispetto al 1990. Cosa più grave, la maggioranza dei lavoratori è avanti con gli anni, quasi al limite della pensione. I giovani iscritti (fino a 25 anni) non superano il 15%. Di conseguenza diminuiscono le quote: l’anno scorso i metalmeccanici versarono 429 milioni di euro, che servono tra l’altro a pagare gli operai in sciopero.
Il calo è continuato anche durante la recente crisi. Nei due terzi delle aziende medio-piccole, che sono la spina dorsale della produzione tedesca come in Italia, i lavoratori hanno concordato accordi al di sotto delle tariffe nazionali per evitare fallimenti e licenziamenti. E, in piena ripresa, ora ottengono aumenti senza attendere la scadenza dei contratti.
Il cosiddetto modello tedesco non riguarda solo la Mitbestimmung. Continuano a vigere i principi dell’economia sociale di mercato, che in un certo modo risale al conservatore Bismarck. Un imprenditore deve curarsi non solo dei profitti ma anche del benessere dei suoi dipendenti. Anche perché, se stanno bene, lavoreranno meglio. Una morale che ha sempre reso la vita difficile alle sinistre.