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 2011  gennaio 17 Lunedì calendario

Battaglia nella capitale tra esercito e pretoriani - Alle 16i di ieri è cominciato, davvero, il 25 aprile di Tunisi, il giorno della resa dei conti

Battaglia nella capitale tra esercito e pretoriani - Alle 16i di ieri è cominciato, davvero, il 25 aprile di Tunisi, il giorno della resa dei conti. Vi prorompe l’odio schietto per gli uomini della dittatura, inizia la caccia all’uomo per le vie della città, ai torturatori ai pretoriani della guardia presidenziale di Ben Ali, ai barattieri innumerevoli, ai colpevoli che brulicano in ogni declino di dispotismo. Si sentiva in una città già stremata dall’incertezza un sentore ovunque di vendetta fertile e selvatica. Arrestato il fratello del deposto presidente, Kaies Ben Ali. Arrestato l’ex ministro dell’Interno, Rafik Hadi Kacem. Era bene, finalmente: prima che prendesse piede un’indifferenza senza sdegno, piena di indulgenza. Già ci si saziava l’anima con il piacere di fare giustizia, e guai ai tirapiedi! Ma quella di Ben Ali è gente che vuole morire almeno due volte prima di sparire. Sembrava facile scarrucolare il mondo vecchio adesso che il tiranno è fuggito. E invece alle 16 il Vecchio è tornato, a riprendersi la città il Paese la gente. I braccati si sono volti, azzannando. Una battaglia, e di prim’ordine, è scoppiata, di cui è possibile raccontare solo barbagli e il rumore. Si sparava con armi pesanti mentre il crepuscolo inghiottiva il bianco di Tunisi attorno al ministero degli Interni. È il palazzo d’inverno di questa rivoluzione. Qui la folla è venuta a celebrare la resa del tiranno, qui hanno trascinato gli arrestati dell’ultimo (che illusione!) sussulto del regime, qui hanno portato i gerarchi arrestati, quelli che come il cognato del presidente non sono stati uccisi a coltellate in una spiccia resa dei conti. A dare l’assalto sparando dai tetti sono gli uomini della Guardia che hanno atteso, con ira agguatata, il momento migliore. I loro nemici hanno la stessa uniforme, poliziotti lealisti che si sono adeguati al nuovo e i soldati i cui generali hanno rifiutato di uccidere in nome di Ben Ali negli ultimi giorni del regime. Da Cartagine arriva l’eco di scontro, intorno al palazzo presidenziale. Corrono sui tetti tiratori scelti, uno di loro resta disteso, ferito, tra le antenne che fanno da chioccia al Ministero, si trascina lentamente fino a quando sparisce dietro un riparo. Elicotteri ronzano, si direbbe che fanno le fusa alla battaglia, cercando il nemico. Dopo un’ora di sparatoria entrano in scena le mitragliatrici pesanti, fanno squarci acuti quasi fossero schiaffi ai brevi silenzi. Alle 17 e 30 il muezzin, indifferente alla follia degli uomini, puntuale, rammenta nel fragore le ragioni di Dio. Sta per tornare il leader degli islamici, sfuggito alle galere di Ben Ali; ha aspirato a pieni polmoni nell’esilio di Londra i fumi dell’estremismo. Troverà in questo caos fanterie zelanti, le placche tettoniche di questa storia sono ancora ben in movimento. Tremila poliziotti, su duecentomila, considerati infidi o troppo coinvolti nel regime, erano appena stati cacciati ieri in un soprassalto di energia dal timido, ambiguo governo che maneggia e pasticcia la transizione. Ma non basta, c’è la Guardia, ricordava il leader comunista Hammami, e sono settemila armati fino ai denti. Lui che è uno dei pochi oppositori veri, che rifiuta di entrare in un governo truffa, seduto vicino ai complici di Ben Ali, li ha guardati a lungo negli occhi, quei torturatori. In libertà solo da giovedì scorso. E lo rammentava a mezzogiorno, quattro ore prima che scoppiasse la bufera. Sarà un 25 aprile sanguinoso, dall’esito incerto perché il passato regime non è floscio. E i suoi uomini non cercano una improbabile clemenza, né una bella morte. Vogliono la rivincita. È l’arresto del loro capo che li ha scatenati, il generale Ali Seriati, sbirro asperrimo. Ha seminato i saccheggi, per intossicare i tunisini e il mondo: vedete, senza Ben Ali l’anarchia avanza. Lo hanno arrestato mentre cercava di raggiungere la Libia, regime che ha confermato il sostegno a Ben Ali anche dopo la sconfitta, un possibile santuario per la revanche . Hanno cercato di liberarlo dal Ministero, venerdì; tre morti nella piazza dell’orologio, sfida temeraria nel cuore della zona presidiata dai carri armati, segno che non avevano paura di nulla. Tunisi si era levata ieri mattina in una atmosfera strana, la paura che sgocciolava dalla pelle, i negozi sempre chiusi, la ricerca inutile del pane del latte di giornali. I soldati controllavano nervosi, ogni auto. Voci incontrollate circolavano: che c’erano a Tunisi mercenari europei. Di alcuni, tre tedeschi e un francese, è stato annunciato ufficialmente perfino l’arresto, con fucili e esplosivo. In Rue de Marseille, poco prima della battaglia, era caccia a due di questi supposti mercenari. Sorpresi, su un taxi, con alcuni fucili, vicino alla sede di un partito di opposizione. Salvati dal linciaggio dai soldati, li hanno gettati a terra tra gli applausi della folla. «Mi chiamo Anders, sono svedese» ha gridato uno di loro. Sarebbero cacciatori scombinati e stupidi sorpresi in Tunisia dagli eventi. Un gruppo di saccheggiatori - veri? falsi? - erano invece in ginocchio su un marciapiede, le mani dietro il capo: appena catturati. Gli oggetti rubati estratti da un camioncino li hanno stesi davanti a loro, alcuni vestiti da poveri, un televisore. Quattro, giovanissimi, quasi bambini, le facce svaporate e indolenti di chi sa di non poter più sperare nulla. Manovali dell’anarchia benalista? O i sanculotti della rivolta, senza tutto convinti di poter espropriare la propria parte prima che tutto tornasse nell’ordine, gli toccava, il bottino, come ricompensa dopo 23 anni di miseria. Sul marciapiede un vecchio signore scuoteva il capo, la faccia intenebrata di diffidenza: «Io parto domani, per Lione, dove ho parenti, se ci sarà finalmente un aereo. Guardate qua: Ben Ali è partito: perché questi ragazzi saccheggiano? Una volta invitavo la gente a venire qui adesso devo dire, state lontani, che vergogna! Non capisco».