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 2011  gennaio 17 Lunedì calendario

È FEBBRE DEI NEGOZI COMPRO ORO

«Compro oro, pagamento in contanti». Negli ultimi anni le vie delle maggiori città italiane sono state tappezzate da cartelli e insegne inneggianti a guadagni immediati. Consegnando bracciali, anelli e collane in questi piccoli bazar improvvisati, si trasformano oggetti dimenticati in fondo ai cassetti in denaro sonante.

Un business che ha seguito un trend di crescita favoloso, stando ai dati di Infocamere-Movimprese, che ha cercato di monitorare la dinamica di questi punti vendita in Italia. Ebbene, nell’ultimo anno, il loro numero è cresciuto del 22,5% su scala nazionale arrivando a toccare quota 5 mila punti vendita a dispetto delle 18 mila gioiellerie sparse su e giù per l’Italia. La media nazionale nasconde tuttavia, dei picchi. Come il +30% di negozi aperti lo scorso anno in Veneto e Piemonte, dove si trovano le maggiori fonderie di oro usato. O il +60% dei compro-oro registrati nel 2010 nel Lazio e in Sicilia.

Ma come si giustifica questo favore degli italiani per la vendita dell’oro usato? Una risposta unica, certamente non esiste. Ma è chiaro che si tratta di una tendenza legata in buona parte all’andamento delle quotazioni del metallo giallo che nell’ultimo anno sono salite a un livello di massimo storico guadagnando più del 30% rispetto ai valori di fine 2009 (si veda altro servizio in pagina). Esiste però anche un’altra faccia della stessa medaglia. In momenti di crisi e di difficoltà finanziarie, sono sempre di più le persone che si trovano nella necessità di convertire in denaro i propri gioielli, più o meno preziosi, per pagare l’affitto di casa, saldare le rate di un finanziamento o semplicemente riuscire ad arrivare a fine mese.

Come aprire un punto vendita. «Si tratta di un’operazione molto semplice», ha spiegato Steven Tranquilli, direttore generale di Confedorafi, l’associazione di categoria degli orafi di Confcommercio. «Come prima cosa, è necessario essere iscritti alla Camera di commercio. A questo punto, bisogna richiedere un’autorizzazione all’esercizio dell’attività di compro-oro rilasciata direttamente dall’Autorità di pubblica sicurezza». Una volta ottenute le licenze, sarà sufficiente dotarsi di una bilancia di precisione con vidimazione annuale della Camera di commercio, per garantire la massima onestà e trasparenza al momento della pesatura dei gioielli e il gioco è fatto. «Ogni volta che un punto di raccolta prende in carico dell’oro, deve annotare su un registro l’identificativo del cliente, l’oggetto che viene preso in carico, le sue caratteristiche e il prezzo pattuito», ha continuato Tranquilli. «Queste informazioni dovranno essere messe a disposizione dell’autorità di pubblica sicurezza in caso di controlli. Trascorsi almeno dieci giorni dall’acquisto degli oggetti, i compro-oro potranno poi rivendere il metallo usato alle fonderie che si occuperanno della raffinazione del prodotto dalla lega in rame o in argento per la trasformazione dell’oro in lingotti». Un capitolo a parte riguarda invece la fissazione del prezzo di vendita. In questo caso, le oscillazioni presenti sul mercato riguardano le politiche di acquisto dei diversi negozianti. «Il prezzo dell’oro è stabilito dal fixing sui mercati internazionali», ha continuato il direttore generale di Confedorafi. «Attualmente ci troviamo a 1.380 dollari all’oncia, circa. Ma attenzione, stiamo parlando di metallo non trasformato». Sì perché l’oro utilizzato per la realizzazione dei gioielli altro non è che un metallo trasformato. Di solito si parla di oro 750. Questo vuol dire che il 75% del metallo è rappresentato da oro, mentre la parte restante è costituita da una lega di argento o rame. Risultato, una catenina del peso di 100, avrà un valore calcolato su 75 o meno a seconda della purezza del metallo. Se è vero che questa regola generale risulta valida per tutti i compro-oro, quali sono le ragioni della grande variabilità dei prezzi che si osservano sul mercato? Le ragioni sono molteplici. Si può trattare di una politica del negoziante che preferisce pagare leggermente di più il metallo prezioso acquistato per accaparrarsi una maggiore quota di mercato e guadagnare sulla quantità rivenduta alla fonderia. In altri casi, invece, ci si può trovare di fronte a un gioielliere che al momento dell’acquisto di un nuovo gioiello preferisce sopravvalutare l’oro vecchio piuttosto che praticare uno sconto sul nuovo. Ma esistono anche casi di utilizzo illecito del sistema. Sia per riciclare denaro sporco che per ricettare refurtiva. Senza contare il fenomeno dell’evasione fiscale che ben si presta all’attività del compro oro. Il sistema è davvero banale. È sufficiente, infatti, dichiarare rottami i gioielli acquistati per godere dell’esenzione dal pagamento dell’Iva concessa a società e artigiani che lavorano l’oro grezzo. «I compro oro possono acquistare oggetti preziosi nuovi, usati o avariati e rivenderli al pubblico, a fonderie o ad altri operatori», si legge in una circolare emanata a maggio scorso dalla Banca d’Italia. «Tale attività si configura, infatti, come commercio di prodotti finiti che non rientrano nella definizione di “oro” contenuta nell’art. 1, comma 1, della legge 7/2000; è la fonderia che dovesse trarne il contenuto in fino e rivenderlo come “oro da investimento” a dover assumere la qualifica di “operatore professionale in oro”». Sulla base di questi presupposti, negli ultimi mesi la Guardia di finanza ha dato il via a un controllo a tappeto. E i risultati non si sono fatti attendere. Nei giorni scorsi, a Bari, un commerciante è stato denunciato dalle Fiamme gialle per aver gestito, negli ultimi tre anni, una decina di negozi compro oro in maniera abusiva, falsificando i documenti contabili e registrando come rottami non riutilizzabili gioielli che, invece, il più delle volte erano solo usati, o addirittura nuovi. L’escamotage ha permesso al commerciante di evadere l’Iva per circa 850 mila euro.