Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 15/01/2011, 15 gennaio 2011
C’E’ UN SOLO GATTO
Tra decine e decine di leoni e cervi, colombe e serpenti, cavalli e pecore, aquile e delfini, cani e cammelli, c’ è un unico gatto a San Pietro. E anche abbastanza nascosto. Per scovarlo, bisogna cercare la quinta porta della basilica, la cosiddetta Porta Santa, quella che è normalmente murata e viene aperta - non con la chiave, ma con tre colpi di martello - soltanto ogni venticinque anni, in occasione del Giubileo, per far entrare i pellegrini che vogliono santificarsi l’ anima. Nelle due formelle superiori della porta, eseguita in bronzo dallo scultore senese Vito Consorti per sostituire i vecchi battenti in legno e inaugurata da Pio XII il 24 dicembre 1949, è scolpita la scena dell’ Annunciazione, con un gatto che fa capolino, incuriosito, da dietro una tenda. La scena è stata notata da Sandro Barbagallo, storico dell’ arte che ha appena terminato una ricognizione tra gli animali presenti nella basilica di San Pietro e l’ ha raccontata in un libro edito dalla Libreria Editrice Vaticana e intitolato «Gli animali nell’ arte religiosa. La basilica di San Pietro in Vaticano». L’ autore dimostra un notevole stupore davanti alla presenza di questo gatto. Intanto perché l’ animale è sempre assente nella mitologia greca e latina, dalla quale ha attinto ampiamente l’ iconologia cristiana. E poi perché la simbologia del gatto è ambigua, rappresentando al tempo stesso il bene e il male. I suoi guai cominciano con la Cabala ebraica che lo associa al serpente e quindi all’ emblema della menzogna e del tradimento. E si infittiscono con san Domenico che lo addita come demone mimetizzato, perciò associato alle streghe e insieme a loro bruciato vivo ai tempi dell’ Inquisizione. Il viaggio di Barbagallo nello zoo sacro della basilica si sviluppa attraverso questo doppio filone di ricerca: da una parte l’ individuazione degli animali nelle sculture e nei dipinti della basilica; dall’ altra il racconto del loro significato simbolico e di come si trasmette dalla mitologia pagana e dalla tradizione biblica alle storie sacre del cristianesimo. Un viaggio iniziato dieci anni fa, quando, girando per la basilica di San Pietro per studiarne i capolavori, gli capitò di imbattersi in un pipistrello marmoreo appollaiato sulla porta della sacrestia. «Questa strana apparizione divenne come per magia la lente di ingrandimento che mi fece riconoscere l’ incredibile quantità di rappresentazioni zoomorfe contenute nell’ edificio. Ma compresi subito che quelle immagini avevano un senso preciso. Bastava cercarlo, definirlo e quindi scriverlo». La caccia di Barbagallo parte dall’ obelisco della piazza, collocato nell’ attuale posizione da Domenico Fontana nel 1586 e sorretto da quattro leoni bronzei con una testa e due corpi, voluti da Sisto V perché elementi del suo stemma, ma anche perché nella maggior parte delle religioni sono custodi dei luoghi sacri. Si passa alle fontane: in quella di Carlo Maderno compaiono l’ aquila e il drago, in quella di Gian Lorenzo Bernini due delfini attorcigliati. Maiali, draghi, cani e aquile accompagnano le statue dei santi che ornano il colonnato; serpenti, leoni, colombe, cavalli, greggi di pecore e animali da cortile sono sparsi nell’ atrio della basilica. Le cinque porte di bronzo sono popolate di merli, civette, ricci, tartarughe, ghiri, corvi, gufi, lupi, cinghiali, volpi, aironi, tori, scoiattoli, topi, lumache. In questo bestiario mistico, Barbagallo ha rintracciato ben 64 specie diverse, senza contare le api dei Barberini che volano ovunque nella basilica. E riportato alla luce storie dimenticate. Come quella del Bernini che per realizzare il grandioso baldacchino bronzeo, oltre alla fusione a cera persa sperimentò la tecnica «a lucertola persa». Sulla base delle colonne l’ artista ha infatti fuso due autentiche lucertole, che incenerite al passaggio del metalli incandescente hanno lasciato la loro forma.
Lauretta Colonnelli