Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 17/01/2011, 17 gennaio 2011
SECESSIONE E FEDERALISMO QUESITI, DUBBI, RISERVE
Le chiedo se un referendum per ottenere la separazione dell’Italia in due è davvero impossibile. Non dal punto di vista giuridico si badi bene, ma per i rapporti di forza reali attinenti anche all’Europa. Mi spiego meglio: se l’aggravamento della crisi finanziaria dei Paesi periferici dell’Europa portasse all’abbandono dell’euro con la creazione di un grande marco legato a Germania e Francia, l’Italia sarebbe lasciata sprofondare tutta intera o non sarebbe interesse della Germania recuperare alla nuova area monetaria il Nord avanzato a ricreare i limes dell’Europa carolingia? E se anche ciò non si verificasse nel momento in cui il federalismo fiscale dovesse fallire o essere svuotato dei suoi contenuti — e fallirà perché non vedo come la classe dirigente di certe regioni possa fare in pochi anni quello che non ha fatto fino ad ora— che cosa succederà? Si è separata la Jugoslavia, si sono separate Boemia e Slovacchia, si stanno separando Nord e Sud Sudan, il divorzio ormai è tacitamente accettato anche dalla Chiesa: solo noi dobbiamo restare indissolubilmente sposati con le immondizie di Napoli e dintorni?
Gianni Mello
gianni.mello@gmail.com
Caro Mello, la sua lettera contiene molte domande. A quella sulla possibilità di una consultazione popolare rispondo che questo tipo di referendum non è previsto dalla Costituzione. Nella storia degli Stati, beninteso, tutto è possibile, ma una tale domanda al popolo italiano è immaginabile soltanto in un clima di emergenza politica, vale a dire, tanto per intenderci, in una situazione di incombente guerra civile: una prospettiva che né io né lei, suppongo, auspichiamo. Alla sua seconda domanda — che cosa accadrebbe dell’Italia del Nord se la Germania creasse un super marco rispondo che qualcosa del genere dovette passare per la testa di Umberto Bossi nella seconda metà degli anni Novanta, quando Prodi e Ciampi lavoravano per impedire che all’Italia fosse negato l’accesso alla zona dell’euro. La Lega scommise su questa ipotesi e fece della secessione, in quel momento, la bandiera del suo partito. Era convinta, non senza ragione, che l’Italia del Nord non avrebbe accettato di lasciarsi escludere dalle regioni dell’Europa con cui ha maggiori affinità economiche e civili. E riteneva utile prepararsi a utilizzare per i suoi fini il risentimento della società «padana» . Le cose, come sappiamo, andarono diversamente. L’Italia, grazie a Prodi e a Ciampi, entrò nell’eurozona e Bossi, da quel momento, ricominciò a chiedere il federalismo. Oggi, forse, siamo in vista di quell’obiettivo. Anch’io, come altri, mi chiedo se la formula possa funzionare e condivido le riserve di un intelligente sociologo, Luca Ricolfi, quando scrive che diventeremo federalisti senza avere fatto le verifiche, le sperimentazioni e le simulazioni che ci avrebbero permesso di programmare la transizione e eliminare alcuni degli inconvenienti destinati a sorgere lungo la strada. Ma credo che l’impresa vada tentata e rifiuto di fasciarmi la testa prima di averla rotta. Quanto alle altre scissioni, caro Mello, osservo che lei ha dimenticato il caso che maggiormente assomiglia a quello italiano. Mi riferisco al Belgio dove valloni e fiamminghi non riescono a mettersi d’accordo sulla formazione del governo e gli «affari correnti» sono gestiti da un esecutivo che è provvisorio ormai da 217 giorni. Dovremmo dare un’occhiata di tanto in tanto alla situazione belga. Non conosco migliore terapia antisecessionista.
Sergio Romano