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 2011  gennaio 15 Sabato calendario

LA SPONDA SUD CHE PREME SULL’EUROPA MEDITERRANEA

Immigrazione spesso disperata, attentati che poi lasciano spazio a fasi di apparente stabilità, turismo più o meno esotico, materie prime e business (per gli addetti ai lavori). E i leader politici: dall’inossidabile Mubarak al riservato Mohammad VI, passando per il Colonnello Gheddafi. A parte questo, del Nord Africa si parla poco in Italia. E le rivolte scoppiate in Algeria e soprattutto in Tunisia, Paesi tanto vicini a noi, sono state per molti una sorpresa. La mancanza di un interesse continuativo e profondo delle opinioni pubbliche e dei media europei— con l’eccezione della Francia e in parte della Spagna — è riflessa in sostanza da quella dei governi. Il processo di Barcellona che nel 1995 lanciava la strategia comune europea per il Mediterraneo non ha dato frutti, al di là della creazione di nuove istituzioni, programmi culturali, qualche accordo di associazione, l’inizio del dibattito (rimasto tale) sull’area di libero scambio. E la nascita nel 2008, soprattutto per forte volere di Parigi, dell’Unione per il Mediterraneo: pure questa considerata da molti già fallita, per le divisioni sulla sponda Nord del Mediterraneo e, su quella Sud, per la presenza di Israele inaccettabile per alcuni Stati arabi. Anche ai difensori dell’Unione, comunque, è chiaro che il suo impatto sulle società e le economie del Nord Africa, se c’è, è trascurabile. Eppure, accanto alla grave e generale mancanza di democrazia, la situazione socioeconomica è da tempo esplosiva nella regione. Soprattutto, per il gap sempre più ampio tra le economie interne e il boom demografico: negli ultimi decenni, mentre le prime sono rimaste in mano a gruppi di potere chiusi, corrotti e spesso inefficienti, la crescita della popolazione è stata enorme. La capacità di assorbimento delle nuove generazioni da parte del mercato interno si è così dimostrata inversamente proporzionale alle aspettative dei giovani, più istruiti e globalizzati. Negli ultimi anni, segnalano gli economisti, il trend si è interrotto. Con l’eccezione dell’Egitto, primo nel mondo arabo per tasso demografico e terzo in Africa, nella regione le politiche dei governi unite alla massiccia scolarizzazione hanno causato un crollo delle nascite. Complessivamente, il numero medio di figli per donna che trent’anni fa era di 5,6 è sceso nell’ultimo decennio a 2,4. Ma sono proprio i nati negli anni Ottanta che oggi premono su sistemi sempre più deboli, nonostante la crisi globale li abbia colpiti meno di altri. Ognuno dei quali ha peraltro caratteristiche diverse. Egitto Tassi di crescita sostenuti (la Banca Mondiale prevede un 5,5%nel 2011), ancora in aumento gli investimenti esteri, tenuta del turismo e dell’export, ma allarme per il rialzo dei prezzi degli alimentari, l’elemento che ha scatenato le rivolte in Tunisia e Algeria. Dalle campagne continua la massiccia emigrazione nelle misere periferie delle città, dove la trasformazione verso l’economia di mercato non assorbe abbastanza mano d’opera, mentre la popolazione si avvia verso i 90 milioni, tre volte quella degli anni Sessanta. Accompagnata dalla forte repressione (le leggi speciali del 1981 sono ancora in vigore), la proverbiale stabilità del regime è a rischio. E a settembre si vota per il raìs. Libia Molto più ricca e meno popolata dei Paesi vicini, la Jamahiriya grazie al petrolio è in continua espansione economica. Confermati l’apertura agli investitori stranieri e lo sviluppo del settore privato avviati dopo la fine dell’embargo, il malcontento è più politico che economico. Ma il Colonnello, che due anni fa aveva promesso di distribuire a ogni libico la sua quota di entrate petrolifere (mai fatto), ha ora deciso di togliere tutte le tasse sui prodotti alimentari e invitato le banche a fare più crediti alle famiglie. Per prudenza. Tunisia L’ormai ex feudo di Ben Ali e famiglia non ha di fatto petrolio ma è ricco di fosfati, conta sul turismo (per ora in calo) e su una forte industria manifatturiera che esporta soprattutto in Europa e per questo colpita dalla recente crisi. Come ormai noto, il problema chiave è la discrepanza tra una generazione di diplomati e laureati (donne comprese) e le possibilità offerte dal Paese, dove i prezzi in forte aumento e la gestione corrotta dell’economia, uniti alla repressione, hanno fornito il terreno per la svolta. Algeria Il Paese più ricco in idrocarburi (30%del Pil, 95%dell’export), il meno impegnato sulla via delle privatizzazione e dell’apertura all’estero. Con un indebitamento minimo e riserve valutarie enormi potrebbe resistere agli scossoni della globalizzazione senza troppi problemi. Ma le infrastrutture sono carenti, l’esercito spesso inefficiente controlla tutto, anche qui i tantissimi giovani restano disoccupati. E la povertà di ampie zone del Paese è estrema quanto le entrate dello Stato. Marocco Bassa inflazione, buoni tassi di crescita, soprattutto una fase di riforme seguite alla salita al trono di Mohammad VI. La quinta economia dell’Africa, e la seconda del Maghreb dopo l’Algeria, gode il favore di investitori, economisti, mercati finanziari. Ma anche qui restano importanti sacche di povertà e scontento, e gran parte delle ricchezze del Paese sono controllate direttamente dal Re e dal suo entourage.
Cecilia Zecchinelli