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 2011  gennaio 17 Lunedì calendario

PECHINO PRONTA AL SORPASSO "IL DOLLARO È AL TRAMONTO"

Quarant’anni dopo l’avvio delle realazioni diplomatiche fra Cina e Stati Uniti, il presidente Hu Jintao atterra domani a Washington 1 con un’agenda inimmaginabile, rispetto a quella che Mao Zedong presentò a Richard Nixon. Nel 1972 il leader di una nazione fallita chiese esplicitamente all’America un piano di aiuti per salvare 820 mili di contadini dalla fame. Domani il capo del Paese dei record, che si appresta a salvare e a guidare il mondo in questo secolo, baderà invece a rassicurare la Casa Bianca su una ragionevole lentezza del tramonto Usa. I ruoli non sono ancora invertiti, ma oggi è Barack Obama a dover chiedere alla Cina un programma di salvataggio per gli Stati Uniti e per l’Occidente, cercando di capire non se, ma quando Pechino supererà anche Washington iniziando a controllare il mondo che gli Usa rappresentano.

Hu Jintao sa di essere ormai l’azionista di riferimento del cosidetto G2 e non ha nascosto l’intenzione di mettere sul piatto, già nella cena informale di domani sera, la preoccupazione cinese per il destino degli 860 miliardi di dollari investiti nel debito statunitense.

Forte del ruolo di nuovo banchiere di quello che resta il primo mercato finanziario del pianeta, attento a non allarmare i suoi indispensabili clienti europei, Hu porrà dunque subito a Obama le tre questioni-chiave che Pechino intende iniziare a risolvere nel corso della sua seconda visita ufficiale oltreoceano: la cessione dell’alta tecnologia delle imprese americane alle industrie cinesi, il ritiro delle forze armate Usa dall’Asia e il via libera ad un nuovo ordine monetario internazionale che nel medio periodo veda lo yuan affermarsi quale valuta di riferimento assieme a dollaro ed euro. Il messaggio che porta a Washington è chiaro: "Un sistema monetario internazionale basato sul dollaro appartiene ormai al passato". I tre punti dell’agenda segreta di Hu, irrobustita e allo stesso tempo indebolita dall’interdipendenza fatale tra i due "padroni del mondo", non possono ovviamente essere accolti in quella, assai meno assertiva, di Barack Obama.

L’importanza che Pechino assegna a questo incontro, ad un anno dal cambio della propria leadership, conferma però che il presidente cinese accetterà di sottolineare "i molti interessi bilaterali in comune nell’interesse di tutto il mondo", ma che questa volta pretenderà di non uscire dalla Casa Bianca a mani vuote. Secondo i dirigenti cinesi la partita economica precede oggi quella politica e si gioca tra il valore dello yuan, capace di far fallire il mondo della produzione statunitense, impedendo la ripresa e pregiudicando un bis dei democratici, e la necessità della Cina di colmare il gap di conoscenza e tecnologia per trasformarsi realmente in una superpotenza postcapitalista, fondata su una classe media, con i requisiti per rendere stabile il sorpasso sul Giappone e iniziare quello sugli Usa.

Sia Hu che Obama, in una fase di massima incertezza globale, hanno interesse a non travolgere il precario equilibrio di un "temporaneo G2 necessario", secondo la definizione del premier Wen Jiabao. Gli Stati Uniti, rappresentanti di un’Europa in frantumi, non possono però più permettersi la pazienza cinese e per questo hanno presentato un ordine del giorno in cui i nodi politici della sicurezza mondiale precedono i dossier finanziari e produttivi, fino a costituire la condizione per una soluzione dei secondi.

Affermare che in quattro giorni Hu Jintao e Barack Obama si spartiranno il controllo del mondo per i prossimi venticinque anni, come sintetizzano in queste ore i diplomatici europei, può essere una provocazione tesa a scongiurare un pianeta bipolare. È vero però che alla fine di questa settimana sapremo come Cina e Usa hanno deciso di affrontare le questioni che preoccupano la maggior parte dell’umanità e soprattutto se ancora per un po’ lo faranno formalmente insieme. Lo scontro-simbolo tra dollaro e yuan, con l’euro alle corde, è la punta di un iceberg che sott’acqua vede gli interessi di Pechino e Washington sempre più in rotta di collisione. Dal 2008 gli Stati Uniti hanno perso due milioni di posti di lavoro, emigrati in Cina per effetto dell’outsouricing. Gli Usa importano così merci cinesi per 296 miliardi di dollari, esportando per soli 69. È uno squilibrio commerciale senza precedenti, che alimenta l’impetuosa crescita del Pil di Pechino, l’investimento record nei titoli di Stato dell’Occidente in crisi, l’inedita influenza della Cina negli organismi internazionali e la sua corsa al riarmo. Domani Obama cercherà di convincere Hu che solo arrestando la caduta Usa, rivalutando realmente lo yuan e scongiurando l’esplosione dell’inflazione cinese, può rendere stabile lo sviluppo di una nazione da 1,4 miliardi persone che da trent’anni cresce del 10% all’anno. Il patto a due tra economia, politica e forze armate è reso però difficile da una reciproca sfiducia personale di fondo e le mosse che hanno preceduto l’imminente visita lo dimostrano.

Dopo i cyber-attacchi contro Google e lo scoppio della "guerra dei dazi", che hanno segnato il tempestoso 2010 del G2, la ripresa del dialogo è stata interrotta dal premio Nobel per la pace a Liu Xiaobo, sponsorizzato da Washington, e dai missili nordcoreani contro il Sud, suggeriti da Pechino. Hu Jintao, alla prima visita all’estero dopo l’assegnazione del Nobel "a una sedia vuota", è deciso a non finire sul banco degli imputati nell’unico Paese in grado di ricordargli il concetto universale di diritti umani.

L’incubo di un’implosione nucleare della penisola coreana, serve così alla Cina per arginare il ritorno dell’interesse militare Usa nel Pacifico, riaffermando il proprio. Il "mistero dello Stealth" è illuminante. Martedì scorso, mentre il segretario alla difesa Gates incontrava Hu a Pechino, l’esercito cinese ha testato il suo primo bombardiere invisibile. La Casa Bianca ha minimizzato la beffa sostenendo che Hu, che si è fatto precedere in America da una serie di spot-tivù propagandistici interpretati dalle star nazionali, sarebbe stato all’oscuro del volo e adombrando uno scollamento tra partito e forze armate in Cina. Ha dovuto poi prendere atto dell’ennesima dissimulazione della leadership comunista, interrogarsi sulle sue ragioni e lanciare l’allarme sul nascente pericolo di "una potenza militare atomica opaca e fuori controllo". Pechino ha risposto che "la valutazione dello yuan dipende esclusivamente da opportunità interne" e gli amici-nemici del G2, compresa la delicatezza dei toni, sono tornati a preparare il vertice di mercoledì in silenzio e convinti dell’inaffidabilità della controparte.

Solo una missione, mentre la Cina si compra il mondo, spinge dunque Hu Jintao a Washington e a Chicago: salvare oggi i suoi creditori per non perdere lo slancio che sta garantendo alla Cina di farli fallire domani, sfilandoli a India, Giappone e infine anche all’Europa. Conquistare il controllo del mondo nel Duemila è l’ultimo compito del suo mandato e su questo si gioca un ritratto su piazza Tiananmen, dove davanti a Mao ha appena riportato anche Confucio.