RODOLFO DI GIAMMARCO, la Repubblica 16/1/2011, 16 gennaio 2011
ALBA ROHRWACHER
Ho dei bei piedi». Alba Rohrwacher, tacchi zero, lineamenti acerbi alla Balthus, una che fisicamente ti fa pensare d´aver avuto un´infanzia col viso della Ragazza con l´orecchino di perla di Vermeer, che oggi ha una somiglianza allampanata con Monica Vitti giovane, e che forse avrà un futuro col volto acuto di porcellana d´una Tilda Swinton. Un tipo non comune, targata Firenze 27 febbraio 1979. Una che ha passato la sua adolescenza in Umbria vicino a Orvieto, in campagna, dove il padre ex violinista aveva messo in piedi un´attività d´apicultore, «e dove a forza di imbattermi ogni estate in un circo francese ambulante mi viene voglia di fare l´acrobata». Una che a diciassette anni è tornata a Firenze a studiare, a fare l´università, «Medicina», frequentando anche una scuola teatrale «dove debutto impersonando Sigismondo ne La vita è sogno di Caldéron de la Barca», per poi decidersi di venire a Roma, a giocare una carta al Centro sperimentale di cinematografia: «Mi ammettono, e apprendo cose essenziali come la disciplina, il mettere forza nei ruoli». Oggi Alba è un´attrice con alle spalle una carriera di "figlia", come testimoniano Mio fratello è figlio unico di Luchetti, Giorni e nuvole di Soldini, Due partite di Monteleone, Il papà di Giovanna di Avati, Io sono l´amore di Guadagnino, con all´attivo un imprinting mancino di protagonista in L´uomo che verrà di Diritti, Cosa voglio di più ancora di Soldini, La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo, e con un imminente volto di donna-soldato al servizio del "capitano" Silvio Orlando in Missione di pace di Francesco Lagi quasi tutto montato e presto in circolazione.
Parlare d´arte con lei è fatalmente parlare di educazione fisica, più che di teorie e tendenze. «È che ho camminato scalza a lungo. Da uno a quattro anni non mi volevo vestire. Poi dai dieci ai diciassette sono diventata estremamente pudica. Il corpo lo uso in sottrazione. Figuriamoci quando per La solitudine dei numeri primi Saverio Costanzo m´ha chiesto di modificarlo, e ridurlo, dimagrendo d´una decina di chili, arrivando a pesarne quaranta. Mentre non mangiavo e seguivo le istruzioni del dietologo, ho avvertito un senso pericoloso e affascinante di invulnerabilità, quel qualcosa che porta all´anoressia».
Il radicale cambiamento anatomico ha messo in moto, in una donna-scricciolo come lei, anche una metamorfosi di dentro. «Partendo da questo lavoro fisico estremo, ho capito meglio l´interiorità del personaggio, l´Alice raccontata da Paolo Giordano nel romanzo, e alla fine dell´avventura ricordo che una cara amica m´ha fatto notare che mi era cambiato lo sguardo». Lo sguardo di Alba trae in inganno, facendo sempre chiamare in causa la timidezza. «Non è che non conosca l´opposto, l´irriverenza, la rabbia. Certo, sono molto riservata e questo atteggiamento viene frainteso: il fatto è che quando provo un senso di inadeguatezza, di disagio, faccio un passo indietro e osservo». Non perde mai il controllo? «Sì, anche spesso, e mi accade con le persone a cui voglio molto bene. Qualche giorno fa, tornata in Umbria nella casa dove vive ancora la mia famiglia, un amico ha detto che per me un´importante scuola di recitazione e di emozione è stata la libertà con cui io mi sono espressa davanti ai miei, arrivando a dire le cose senza reprimermi». Ma anche nei retroscena della vita professionale di Alba non sono mancati gli appuntamenti con lo stress emotivo, con le sensazioni forti: chi non pagherebbe, per avere una registrazione filmata del suo training con Emma Dante? «Ho una memoria molto intensa del lavoro fatto con Emma prima del suo Cani di bancata, un lavoro attoriale che ha cambiato il mio modo di sentire questo mestiere. Il suo insegnamento è un bagaglio, una ricchezza a cui m´è capitato di tornare anche in lavori fatti al cinema. L´immaginario che lei costruiva con noi attori, passando da Dostoevskij a Sciascia, non me lo scorderò mai».
Parla della naturalezza e del pudore del corpo, dell´armonia e della consistenza del corpo, della messa alla prova e della messa in scena del corpo, Alba Rohrwacher, meno volentieri di amore, o religione: «Equilibri sottili che tendo a proteggere. Gli incontri si fondano nella maggior parte dei casi su un´unicità che è sacra. Per esempio, l´amore: io non ho paura a dire che non ho anticorpi». E non sai se allude a una fragilità fisiologica o a una prudenza da soggetto ingestibile. «Sono antica...» ammette sovrappensiero. «Cerco caratteri forti» confessa con quella sua tenerezza calvinista. «Sono disorganizzata, spesso faccio fatica a controllare le cose pratiche che riguardano la mia vita, la mia casa (che pure è il mio rifugio)» riflette sorridendo sulla quotidianità. «Ho uno strano rapporto con la scrittura. Un tempo ho scritto della mia vita personale. Molto. Adesso lo faccio ancora, ma con più fatica» spiega quando indago sulla sua grafomania. «Mi è capitato che mi sentissi tradita nel rileggere miei pensieri trascritti da qualcun altro, ma poi ho capito una cosa molto semplice, forse banale: che la persona che rimane sulla carta scritta non sono né io né chi mi ha intervistato, ma una terza identità che nasce da un confronto, da cui a volte imparo a capire delle cose di me che possono anche non piacermi, che faccio finta di non vedere, e che invece esistono» riassume in tema di rapporto delicatissimo con la comunicazione. «A volte mi rendo conto che per essere troppo riservata finisco per diventare vaga, sfuggente, e questa è una cosa che io combatto nelle persone di cui mi circondo, e riscontrarla in me non mi piace, anche se mettersi a nudo è difficile...» continua a ragionare, e quasi fa sovvenire un ragionamento di Pirandello, convinto che ogni parola avesse per ognuno un significato diverso, malintendibile.
Chissà di chi si circonda una persona sottile, cauta, ragionatrice e rigorosa come Alba. «Le amicizie? Ho letto una cosa, in una raccolta di pensieri di Natalia Ginzburg, di lei che rievoca se stessa al liceo a contatto con Soldati, un Soldati che incollerito s´alzava dicendo con voce ferma "gli amici non si scelgono". La Ginzburg elabora quell´espressione e risolve che gli amici dell´infanzia e dell´adolescenza non si scelgono affatto, e quelli dell´età adulta in qualche modo sì, e lei conclude sostenendo che giocano sempre tre elementi: in parte scegliamo noi stessi, in parte veniamo scelti, in parte è il caso a scegliere per noi. Io sono d´accordo, anche se m´oriento soprattutto con l´istinto, e sulle prime magari do difficilmente accoglienza alle persone fino in fondo, poi arriva un momento in cui ci si riconosce, e allora il legame diventa spesso, solido, e ho l´ingenua convinzione che sarà per sempre. Una volta m´è capitato di essere scelta, e quella che è voluta diventare mia amica ora è tra le più care che io abbia».
Si direbbe che spesso la curiosità di Alba Rohrwacher scatti prima per sollecitazioni umane e poi per scoperte intellettuali. «Osservo molto gli altri, già al livello semplice degli incontri più casuali. D´estate do una mano ai miei collaborando alle vendite nei mercati di campagna dove si pratica ancora il baratto, e mi soffermo su tutte le fisionomie che passano davanti. Mi attraggono i diversi modi di vivere della gente che abita lontano da noi, le tecniche del mestiere artistico così come le concepiscono gli altri, altrove...». Con una silhouette pazzoide e cameratesca prese parte nel 2005 al branco dei personaggi di Noccioline di Paravidino messo in scena da Valerio Binasco. Adesso pensa e penserà solo al cinema? «Non è detto. È questione di progetti. Avrei voglia di fare in teatro un testo contemporaneo ma indifferentemente anche un Cechov. Dipende dall´idea, ma anche e soprattutto dalle persone con cui la condividi. Mi interessa lavorare con la fantasia, e questo è successo nel film di Saverio Costanzo, un´esperienza dove c´era da mettere corpo e anima, raccontando un dolore dell´infanzia con spirito creativo e, alla fine, con gioia. Ma mi rendo pure conto che far leva sulla fantasia non è sempre possibile, e anzi in certi casi non è nemmeno giusto».
Alba ama i silenzi, le corrispondenze, la semplicità, Erik Satie e il pianoforte, la memoria, il rumore della pioggia, gli occhi lucidi, la lealtà, Elsa Morante, l´ironia, Radio3, gli autobus vuoti. Alba rifiuta le dittature, l´avidità, i film horror, le valige da fare, le sigarette, i fast food, le bugie, lo smalto, lavare i piatti, il lavoro minorile. Se le domandi quanto si sente partecipe di questa società, diventa serissima: «In un´epoca così confusa in cui la politica procede completamente sganciata dalla realtà, un segnale positivo che appoggio sono le proteste degli studenti e del mondo culturale. Per fortuna l´arte non smette mai di cercare, di farsi domande, di mostrarsi libera, e ho tanto amato, per intenderci, il film di Martone Come eravamo». Se provi a chiederle dove nasce la felicità, risponde: «Da cose assurde. Dallo svegliarmi da un sogno bello. Dalla sensazione provata quando tra primavera e estate un vento caldo è entrato in cucina». E l´infelicità? «Per chi è ballerina tra gli stati d´animo, il passo falso è la malinconia, e il passo con accidentale caduta è la rabbia».