Micaela Cappellini, Il Sole 24 Ore 17/1/2011, 17 gennaio 2011
L’ANNO D’ORO DEL BUSINESS IN TURCHIA
Nove miliardi di dollari di privatizzazioni, e sono solo quelle già in calendario: dagli aeroporti ai trasporti marittimi, dall’alimentare all’energia. Ventisette licenze per impianti eolici con una capacità totale di oltre 1.300 MegaWatt di potenza. Otto tratti autostradali, per una lunghezza complessiva di 1.600 chilometri. E un nuovo codice commerciale con standard contabili internazionali che il parlamento ha approvato giusto martedì scorso.
Sono questi solo alcuni degli assi nella manica che nel 2011 la Turchia è pronta a calare sul tavolo verde degli investitori internazionali. Carte vincenti, che si sommano a un dato già di per sè invitante: sia l’anno scorso che quest’anno, scommettono le istituzioni internazionali, Ankara metterà a segno la crescita economica più rapida a livello europeo, con tassi superiori al 7 per cento. La stabilità politica qui è di casa, nessuno si aspetta un contagio da rivolta del pane. La popolazione è giovane: 72 milioni di potenziali consumatori dal reddito crescente. E poi c’è il doppio fronte: da un lato il legame con l’Europa, dall’altro lo sguardo verso i mercati dell’Asia centrale, dove le aziende turche - sostenute dalla diplomazia di Ankara - sono già numerose e competitive.
Proprio nella zona più orientale del paese, quella al confine con l’Iran, c’è molto fermento e grande crescita economica, basata sulla prospettiva degli scambi commerciali. L’area a Est è anche quella su cui si concentrano gli incentivi fiscali del governo. Gli arabi sono già sbarcati qui, con l’agricoltura nel mirino. Ma altri stanno guardando con interesse a oriente anche per quanto riguarda il settore dell’energia.
Perché l’Italia dovrebbe fare rotta sulla Turchia? Perché è vicina, innanzi tutto. Ma anche perché tassa le imprese al 20%, addirittura tra il 4 e il 12% in caso di investimenti diretti nelle aree depresse. Ha 20 zone franche, 30 parchi tecnologici, imposte zero fino al 2024 per chi investe in ricerca e sviluppo assumendo alemno 50 dipendenti, basso costo dell’energia, incentivi al l’esport. Ed è perfetta per le Pmi. Purché si mettano in società con un partner locale: «Esportare non è più competitivo, a meno che non si tratti dei prodotti tipici del made in Italy come il fashion o il cibo – sostiene Angelo Iaselli, alla guida dell’ufficio milanese di Ispat, l’agenzia per la promozione degli investimenti esteri del governo turco – prendiamo il comparto della meccanica: oltre alla concorrenza cinese, sudcoreana, tedesca, c’è anche quella locale, e in Turchia la manodopera ha costi bassi, lavora 53 ore a settimana. Meglio dunque aprire una società mista, a maggioranza italiana: si produce qui, e in più si esporta ancora più a Est».
Sul fronte degli investimenti diretti, la Turchia offre molto. Accanto al capitolo eolico, di cui si è detto, c’è quello delle infrastrutture. Ankara si appresta a costruire due nuovi ponti sul Bosforo, l’aeroporto di Zafer, l’alta velocità ferroviaria e diversi campus della salute, con il metodo di partnership pubblico-privato: a Kayseri, con 1.548 posti letto, ad Ankara (Etlik, con 3.056 posti, Bilkent con 2.056 posti), a Manisa (400 posti), a Yozgat (sempre 400) e a Konya (800 posti).
Il 2011 sarà anche l’anno buono per molte nuove privatizzazioni: un business, questo, che fra il 2003 e il 2010 ha già fruttato alle casse dello stato turco circa 54 miliardi di dollari. Al momento, le operazioni già calendarizzate ammontano a circa 9 miliardi e riguardano i trasporti, l’alimentare, il petrolchimico, il settore minerario, il tessile e le banche. Ma la lista delle aziende è destinata ad allungarsi da qui alla fine dell’anno. L’ultima operazione, annunciata proprio la settimana scorsa, è la privatizzazione del 100% di Ido, la municipalizzata che gestisce i traghetti di Istanbul. Sul piatto anche aluni degli aeroporti del paese, il cui processo di privatizzazione dovrebbe avvenire a gruppi di due o di tre: nella lista gli scali di Samsun, Sinop, Tokat e Nevsehir.