Paola Desai, il manifesto 15/1/2011, 15 gennaio 2011
DIAMANTI PERICOLOSI
La natura è stata generosa, con la Repubblica Centrafricana, almeno quando si tratta di risorse naturali: incastrata tra il bacino del fiume Congo a sud e quello del fiume Chari a nord, cioè tra foresta equatoriale e savane, il paese è ben fornito di diamanti, che infatti sono la più importante voce del suo export. Ma questo non gli impedisce di essere tra i più poveri al mondo e uno dei dieci più poveri dell’Africa: il reddito procapite dei suoi quasi 5 milioni di abitanti è di 300 dollari l’anno, uno dei più bassi al mondo. E la povertà estrema, insieme ai conflitti armati che serpeggiano nel paese, fanno una miscela esplosiva. Un recente rapporto del Crisis Group, istituzione di ricerca internazionale, dice che nelle miniere di diamanti della Repubblica Centrafricana migliaia di vite sono minacciate. «Il presidente François Bozizé maniene uno stretto controllo sul settore diamantifero per rafforzare il potere del suo gruppo etnico, ma fa ben poco per alleviare la povertà che spinge i minatori informali a scavare le pietre in condizioni pericolose» («Dangerous little stones: diamonds in the Central African Republic», dicembre 2010).
Bisogna considerare che i diamanti nella repubblica Centrafricana sono sparsi in depositi alluvionali nei due sistemi fluviali, e i tentativi di svilupparne l’estrazione su scala industriale sono sempre falliti. L’estrazione è affidata invece a un esercito di minatori «artigianali», 80mila, forse 100mila persone che vanno a scavare, con pale e setacci, alla ricerca delle pietre, facendo una vita grama. I minatori poi vendono i diamanti per pochi soldi a intermediari, che a loro volta vendono con buoni margini di profitto agli esportatori. E gran parte di tutto questo resta fuori dalla contabilità nazionale: si stima che tra un terzo e la metà dei diamanti estratti nella repubblica Centrafricana lascino il paese clandestinamente. «Il governo non ha né la capacità istituzionale di governare questa catena di produzione così frammentata sul territorio, né la volontà di investire il reddito dei diamanti nello sviluppo della popolazione locale», continua il rapporto del Crisis Group. È una lunga storia: i francesi hanno saccheggiato la loro colonia delle risorse naturali, e i successivi governanti hanno considerato il potere come una licenza ad arraffare a loro volta. Jean-Bédel Bokassa, il presidente che si era proclamato «imperatore», aveva stabilito un monopolio sull’export di diamanti – i diamanti che regalava all’allora presidente francese Valery Giscard d’Estaing in segno di amicizia sono rimasti il simbolo dello strapotere di un dittatore sanguinario. Senza gli stessi eccessi, il suo successore Ange-Félix Patassé ha continuato a gestire l’export di diamanti come un affare personale. Ora, fa notare il Crisi Group, il presidente Bozizé «è più circospetto». Da quando è salito al potere nel 2003 ha imposto un sistema di controllo centralizzato, con una tassazione molto alta. Nel 2008 ha chiuso anche quasi tutte le aziende di export: con il risultato che quel poco di investimenti nella filiera dell’estrazione sono venuti meno; la vita dei minatori è peggiorata, mentre è aumentato l’incentivo a esportare di contrabbando, e a controllare con le armi le zone diamantifere. È così che il Crisis Group conclude: la riforma del sistema minerario, che investa nel sistema artigianale, è essenziale sia per migliorare la vita dei minatori, sia per riportare la pace nelle zone in preda a ribellioni armate.