varie, 17 gennaio 2011
MIRAFIORI - PER VOCEARANCIO
C’era una volta un castello, costruito sulla sponda destra del fiume Sangone, a un paio di miglia da Torino. Aveva un parco enorme: grande 200 giornate di terreno, più o meno 77 ettari. Nel parco crescevano fiori di tutti i tipi offrendo uno spettacolo, si racconta, mozzafiato. Carlo Emanuele I, duca di Savoia, aveva pagato 30 mila scudi per averlo. Era il 1580 e cinque anni dopo, quando il duca si sposò con la diciottenne Caterina D’Asburgo, seconda figlia di Filippo II di Spagna, le donò la tenuta. In onore della giovane moglie chiamò il castello Miraflores, che in spagnolo significa "guarda i fiori".
La storia del castello di Miraflores - chiamato anche Millfleurs o Millefiori - non fu delle più fortunate. Da lì passò la peste all’inizio del ’600 e poi, nel 1640, lì arrivarono le bombe dei cannoni francesi, che assediavano Torino. Ormai inadatta ad ospitare un Savoia, nel 1741 - dopo che Vittorio Amedeo II le aveva costruito vicino la palazzina di Stupinigi -, la residenza regale fu trasformata nella Regia Fabbrica del Tabacco, coltivazione che tristemente aveva sostituito i fiori attorno al castello.
Occupata dai francesi con l’invasione napoleonica, finita alla contadina Rosa Vercellana (chiamata anche La Bella Rosina o La Bela Rosin), prima amante e poi moglie morganatica del re Vittorio Emanuele II, quella che ormai i torinesi chiamavano Mirafiori scomparì definitivamente quando, nel 1875, l’ennesima piena del Sangone fece crollare le sue vecchie fondamenta.
Franato il castello, di Mirafiori rimane il nome. Mirafiori Sud e Mirafiori Nord, i due quartieri periferici di Torino. O solo Mirafiori, cioè la fabbrica d’Italia, quella che, per l’ennesima volta, nelle settimane passate si è ritrovata puntati addosso gli occhi di tutta la nazione.
La storia di Mirafiori - fabbrica progettata per la Fiat da Bonadè Bottino, nel ’36 - inizia molto male. Basti dire che il 15 maggio del ’39, giorno dell’inaugurazione, Benito Mussolini arrivò alla cerimonia a bordo di una Alfa Romeo, ai tempi acerrima concorrente di Fiat. Fu una giornata difficile per il Duce. Gli operai comunisti e cattolici si erano messi d’accordo per non salutarlo. Mussolini si era preparato un discorso trionfale e dai toni guerreschi sull’operaio fascista al quale i lavoratori reagirono con mugugni e silenzi. Il Duce chiese se si ricordavano le promesse che aveva fatto agli operai a Milano nel discorso del 6 ottobre del ’34. Su 50mila presenti solo 400 risposerò di sì. "Se non lo ricordate rileggetelo" sbottò Mussolini, che lasciò il palco borbottando "Torino, porca città".
Allora Mirafiori - che Fiat aveva fatto costruire perché lo stabilimento del Lingotto era ormai troppo piccolo - sorgeva su una superficie coperta di circa 300.000 metri quadrati comprendenti un fabbricato per la lavorazione ed il montaggio di autovetture (200.000 metri quadrati), le officine per i motori di aviazione (30.000 metri quadrati) e gli spazi destinati alle fucine (9.000 metri quadrati), al parco ferri (9.000 metri quadrati) e alla centrale termoelettrica (6.000 metri quadrati). Aveva un refettorio per 11.000 commensali lungo 560 metri e munito di scalda vivande e radio (voluto dallo stesso Mussolini secondo cui "l’operaio che mangia in fretta e furia vicino alla macchina non è di questo tempo fascista).
Di fianco alla fabbrica la direzione Fiat costruì su un’area di 270.000 metri quadrati le strutture per il dopolavoro. C’erano: un parco per auto e cicli di circa 3500 metri quadrati, una piscina lunga 50 metri, un bocciodromo con cento campi da gioco, una pista di pattinaggio a rotelle, uno spiazzo per il tiro con l’arco, uno per quello con la carabina, campi da tennis, da pallacanestro, da pallavolo, vari edifici con sale e salette di riunione, un locale per birreria e altri giochi.
Al momento dell’inaugurazione gli operai - circa 20 mila - erano comunque molto arrabbiati perché la crisi economica aveva aggredito i loro stipendi. Mussolini, poi, parlava di guerra, e loro l’ultima cosa che volevano fare era combattere. Avevano ragione a temere il conflitto: per colpa della Seconda guerra mondiale dopo quell’inaugurazione da Mirafiori non uscirono auto per quasi dieci anni.
Perché subito dopo la dichiarazione di guerra Mussolini ordinò alla Fiat di concentrare tutta l’attività della fabbrica sui mezzi da battaglia: fuoristrada e carri armati, motori per gli aerei. I dipendenti sono militarizzati. La fabbrica viene bombardata dagli alleati, ma con pochi danni, tra l’11 e il 12 giugno del ’40. Le bombe americane, nell’inverno del ’42, fecero più danni: con tre bombardamenti venne distrutta gran parte delle attrezzature e si persero i documenti sui progetti di produzione. Stremati e stanchi i lavoratori, nel marzo del ’43, avviarono la stagione degli scioperi, che da Mirafiori si allargò a tutta Torino. Sorsero cellule antifasciste all’interno della fabbrica, capaci di bloccare la produzione sabotando le macchine o facendole sparire. Dopo il 25 aprile del ’45, gli operai organizzarono la difesa dell’impianto dai tedeschi in fuga riuscendo a fare scappare le truppe naziste il 28 aprile.
Finita la guerra a Mirafiori tornarono le macchine. Tra il 1946 e il 1947 uscirono dalla fabbrica gli ultimi modelli della Fiat Topolino, seguiti da quelli della "1100 E, 1100 B, 500 B, 1500 D, 1400". Poi, negli anni ’50, sono realizzate a Mirafiori le vetture simbolo del miracolo economico, come la 600 e la Nuova 500, seguite, negli anni successivi, da altri fortunati modelli come la 850, la 124, la 127 e la 131 "Mirafiori". Pa
Tra il 1956 e il 1958 la Fiat procede al raddoppio della superficie di questo impianto che non solo rappresenta la maggiore forza produttiva industriale nel miracolo economico degli anni Cinquanta e Sessanta (con la motorizzazione di massa), ma diventerà, negli anni Settanta, ancora una volta, la fabbrica simbolo delle lotte operaie.
Giuseppe Berta, storico dell’economia che sulla storia di Mirafiori ha scritto un libro di successo, racconta che con la produzione della 600 a Torino la Fiat introdurre il "taylorismo" puro in fabbrica, con la catena di montaggio mutuata dal modello Ford. Carlo Stroppiana, entrato a Mirafiori nel 1955 da operaio e uscito 41 anni dopo con la qualifica di vicedirettore delle Meccaniche: «Allora gli operai erano disposti a tre metri di distanza l’uno dall’altro: ognuno effettuava la sua lavorazione su ogni singolo pezzo, camminando a passo lento».
Progressivamente le macchine presero il sopravvento in fabbrica, il lavoro degli operai - che arrivarono ad essere anche 100 mila nel dopoguerra - diventava sempre più un badare che le apparecchiature facessero il loro lavoro. Ancora Stroppiana: «Non si trattò di un passaggio facile, perché a molti addetti sembrava preferibile un lavoro ripetitivo e magari faticoso ma eseguito senza pensare». La meccanizzazione della produzione ha portato alla riduzione del numero di dipendenti. Sparivano gli autisti, i carrellisti, che in certi reparti rappresentavano il 30% del personale. Infatti, la prima flessione del numero degli occupati è di quegli anni: dai 46mila addetti di fine 1967, si scende all’inizio degli anni Settanta a quota 38mila.
Nel 1969, il lungo Autunno caldo parte a Torino già il 3 luglio con la battaglia di corso Traiano cominciata dopo le cariche di fronte al cancello di Mirafiori: gli abitanti del quartiere lanciano di tutto sulle teste dei poliziotti per impedire arresti e altre cariche.
Negli anni Ottanta - quelli della Panda e della Uno - il trionfo della tecnologia si era fatto palese. Berta individua nell’introduzione della Punto, nel 1993, la svolta finale: «Visitando Mirafiori era evidente: in quella nuova, che correva a fianco di quella vecchia, c’erano meno rumore e minore sporcizia, ma anche meno personale. Per lavorare sulle utilitarie precedenti, l’operaio si doveva coricare per terra, con la schiena al freddo. Con la Punto il convogliatore spostava la macchina e l’operaio restava in piedi».
Il discorso di Enrico Berlinguer, davanti ai cancelli della fabbrica circondata dagli operai in protesta per il piano di 14.469 esuberi annunciato dall’amministratore delegato Cesare Romiti. Berlinguer arriva a Mirafiori il 26 settembre 1980, la fabbrica è ferma per sciopero e picchettata dall’11 settembre. "Se si arriverà all’ occupazione della Fiat, dovremo organizzare un grande movimento di solidarietà in tutta l’ Italia.... Noi metteremo al servizio della classe operaia il nostro impegno politico, organizzativo e di idee"» disse il segretario del Partito Comunista". Spiega lo storio Valerio Castronovo: "Venne fuori quasi un’ incitazione che non era nelle intenzioni di Berlinguer. Lui tentò di correggere il tiro poche ore dopo, ma il Telegiornale Rai aveva già trasmesso l’ interpretazione. E così passò il messaggio che Berlinguer premeva per l’ occupazione".
Quella vertenza, la più dura della storia della fabbrica di Torino, si concluse con la marcia dei 40mila, nata la mattina di martedì 14 ottobre dal "Coordinamento dei capi e quadri Fiat" al Teatro Nuovo. Racconta Gianpaolo Pansa: "Il teatro era strapieno e a un certo punto, senza un vero coordinamento, tantissimi erano usciti e partendo da corso Massimo D’Azeglio, al Valentino, si diressero verso corso Marconi, sede del quartier generale Fiat. Strada facendo, il corteo s’ingrossò. Alzava cartelli e striscioni che chiedevano la fine del blocco e la riapertura di Mirafiori. Gli slogan erano tutti sul diritto al lavoro. Ai piccoli capi Fiat si erano affiancati molti torinesi contrari alla paralisi dell’azienda e della città. Il 15 ottobre, a Torino, i capi del sindacato vennero accolti a brutto muso dai loro attivisti". il 17 ottobre firmarono il compromesso.
Politici della sinistra che si sono recati ai cancelli di Mirafiori: Achille Occhetto nel gennaio 1992 da segretario del Pds, metteràin piazza la crisi dell’ ex Pci aprendo una durissima polemica contro la neonata Rifondazione Comunista. Fausto Bertinotti, nel 2002, proprio da segretario di Rifondazione, andato a raccogliere firme per il referendum per l’ estensione dell’ articolo 18 dello Statuto dei lavoratori alle aziende con meno di 15 dipendenti. Nichi Vendola, il 12 gennaio, andato ad appoggiare il fronte del no. Contestato.
Oggi Mirafiori è il più grande complesso industriale italiano nonché la grande fabbrica più antica in Europa ancora in funzione. Ha una superficie di due milioni e mezzo di metri quadri, al suo interno si snodano 20 chilometri di linee ferroviarie e 11 chilometri di strade sotterranee che collegano i vari capannoni. La palazzina degli uffici, che si affaccia su corso Giovanni Agnelli, è un edificio di 5 piani lungo 220 metri, ricoperto di pietra bianca di Finale. Nel suo comprensorio lavorano oggi circa 12.000 persone; di queste 5.431 sono nello stabilimento Mirafiori Carrozzerie.
Delle 5.431 persone delle Carrozzerie, quelli chiamati al voto con il referendum del 13 e 14 gennaio, gli operai sono 4.968 e gli impiegati 463. Le donne sono il 28,3%. Uno su due è iscritto al sindacato. L’età media è di 48 anni. Il 15% ha meno di 35 anni, il 25% tra i 35 e i 39, il 45% tra i 40 e i 49 anni, il 15% oltre i 50. Il 75% è sposato o convive, il 40% di questi ha il coniuge o il partner privo di reddito. Uno su tre ha un figlio. Il 5% ha una licenza elementare, il 65% ha fatto la scuola media inferiore, il 13% ha un semplice attestato di qualifica professionale e il 17% il diploma di scuola media superiore. Il 65% di loro sono operai non specializzati, di terzo livello. La gente di Mirafiori, quando va bene, porta a casa 1.250 euro al mese, 900 se è in cassintegrazione.
Dopo la vittoria del sì partiranno i lavori per aggiornare le linee, i dipendenti - che oggi costruiscono le Alfa Mito e pezzi della Musa e della Fiat Idea - finiranno la cassa integrazione ordinaria il 13 febbraio e la riprenderanno subito, il 14, per un anno. A partire dal terzo-quarto trimestre del 2012 le linee di montaggio saranno dedicate alla costruzione di auto e Suv di classe superiore, sia per il marchio Jeep sia per l’Alfa Romeo. Secondo il programma dell’azienda la produzione per il 2010 sarà di 120mila vetture e per gli anni successivi salirà fino a 250-280mila. Fiat e Chrysler investiranno più di un miliardo di euro in questo progetto, che parte da una piattaforma elaborata in Italia per l’Ala Giulietta e perfezionata negli Usa.
Con l’accordo approvato dal referendum a Mirafiori cambiano molte cose. Innanzitutto i turni (anche se l’orario resta di 40 ore settimanali): viene introdotta una maggiore flessibilità, per cui i turni potranno essere, a seconda delle esigenze produttive, 15 la settimana (cioè 3 distribuiti su 5 giorni) oppure 18 (cioè 3 distribuiti su 6 giorni). In questo caso il turno del sabato notte sarà anticipato alla domenica notte precedente. C’è anche l’ipotesi di distribuire il lavoro su 12 turni: 10 ore al giorno di lavoro per due turni per 6 giorni.
Nella joint-venture tra la Fiat e la Chrysler per la produzione dei Suv (che sarà costituita ex novo e non aderirà, almeno per il momento, al sistema confindustriale) non sarà applicato il contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici, ma uno ad hoc che sarà definito tra le parti. Il contratto, comunque, recepirà le norme contrattuali ora vigenti per il Fondo Cometa (quello dei metalmeccanici) riguardo a ferie, permessi, festività, scatti, provvedimenti disciplinari, e classificazione dei lavoratori.
Le pause vengono tagliate: scendono da 40 a 30 minuti, distribuiti in tre frazioni da 10 minuti. I 10 minuti soppressi saranno retribuiti. Se si lavora 10 ore rimarranno i 40 minuti. La pausa mensa è collocata all’interno del turno; per i 15 e i 18 turni si proverà a spostarla a fine turno. C’è l’impegno a non scioperare in certi casi Su questo punto l’accordo è rigoroso: i sindacati firmatari s’impegnano a non dichiarare sciopero nello straordinario obbligatorio. In realtà possono comunque dichiarare sciopero, ma in tal caso i sindacati, e solo i sindacati, vengono multati sui versamenti delle quote tessera.
Sarà penalizzata la frequenza troppo alta delle assenze. A partire da luglio 2011 c’è una nuova regola: se il tasso medio di assenze non sarà inferiore al 6% si terrà conto delle ripetute assenze brevi - almeno 3 sotto i 5 giorni - collegate a riposi, festività, ferie. In questo caso, dopo la valutazione di una Commissione sugli scioperi composta da rappresentanti dell’azienda e dei sindacati, non sarà pagato il primo giorno di malattia. Da gennaio 2012 se il tasso medio non è sotto il 4% nelle stesse condizioni, non saranno pagati i primi 2 giorni di malattia. E così dopo il 2012 se il tasso medio non sarà inferiore al 3,5%. Saranno esentati dalle norme i lavoratori con malattie gravi.
I sindacati Rappresentati soltanto quelli che firmano La Fiat non riconosce l’accordo interconfederale del ’93 sulla rappresentanza. Si torna invece alle regole dello Statuto dei lavoratori del 1970 (che essendo una legge non viene cambiato da un accordo fra le parti): non saranno i lavoratori a eleggere i propri delegati, ma i sindacati - e solo chi firma l’accordo - a nominarli. Chi è fuori non sarà rappresentato.