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 2011  gennaio 15 Sabato calendario

IL LABIRINTO DEL MINOTAURO

La realtà, è noto, ha più fantasia di noi. Così capita di chiedere a Franco Cordero, scrittore e docente emerito di procedura penale, un’intervista sul legittimo impedimento del premier e finire poi per parlare di prostituzione minorile, non senza un certo disagio. “Viene in mente il Minotauro, ma qualche prelato lo considera quasi santo”.
Professor Cordero, al di là della questione di immagine, lo
scontro tra il governo e i giudici sta diventando pericoloso. È
quasi una guerra.
È prevedibile che la Corte Costituzionale interloquisca ancora in conflitti tra i due poteri, esecutivo e giudiziario.
Sentenza buona o di compromesso, quella della Consulta?
Niente da obiettare ai rilievi di incostituzionalità, mentre desta stupore la formula della decisione: non vedo cosa resti della legge 7 aprile 2010; ormai è una squama vuota. Vale l’articolo 420-ter del codice di procedura penale: spetta al giudice stabilire se l’impedimento sia effettivo e legittimo.
I berlusconiani dicono: aspettiamo le motivazioni della sentenza perché l’elenco delle attività governative di fatto consentirebbe a Berlusconi di usufruire di un legittimo impedimento “speciale”.
È illusione recuperare, attraverso una lettura viziosa del comma 1, gli automatismi che la sentenza ha condannato.
Molto rumore per nulla.
Questi macchinisti del diritto hanno mani rudi, mai che rabbercino una legge resistente al vaglio di costituzionalità; siamo alla quarta débâcle, dopo l’inappellabilità dei proscioglimenti e i due lodi. Il bello è che ogni volta il difetto era evidentissimo e pubblicamente denunciato.
Il legittimo impedimento è stato presentato come una prassi condivisa da tutte le democrazie occidentali.
Solo gli italiani hanno un presidente del Consiglio dal sangue blu, quindi intoccabile.
Anche perché in un altro Paese è impensabile che una persona con tutti questi guai giudiziari possa fare il premier.
Altro fenomeno tipicamente italiano.
A molti osservatori sembra che l’accanimento nell’affermazione dello scudo giudiziario sia più una questione di principio che di utilità: i processi di Berlusconi andranno quasi certamente in prescrizione.
Quando uscirà prosciolto con la formula del reato estinto sarà libero dal fastidio giudiziario. Ma non è il modo più onorevole d’uscirne.
Allora perché questa caparbietà?
Perché deve mantenere l’immagine d’un lottatore erculeo e non è nel suo stile abbassare i toni, parlando ragionevolmente. Predilige le iperboli, in una delle quali, parlando d’alcuni magistrati, tirava in ballo quelli della Uno bianca. E rilevava un difetto antropologico nel magistrato.
Ha definito “famigerato” Fabio De Pasquale, il pubblico ministero del processo Mills.
È un violento. La maschera sorridente non inganna nessuno. Appena può esplode. E un certo pubblico lo vuole così. D’altra parte se l’è educato in trent’anni d’assuefazione ipnotica. Sono le conseguenze della politica corrotta degli anni Ottanta: il pirata delle televisioni commerciali sfidava norme e decisioni della Corte costituzionale sulla concorrenza tra gli utenti dell’etere. Così nasceva il suo impero economico.
Il presidente del Consiglio di
quegli anni è morto da latitante.
Nell’85 Craxi aveva varato un decreto, la cui ‘necessità e urgenza’ Dio sa dove fosse, per salvare Berlusconi dal finto oscuramento delle antenne: finto perché quei pretori non avevano affatto inibito le trasmissioni ma, applicando una decisione della Consulta, esigevano che il segnale non eccedesse l’area locale. Ha oscurato lui le televisioni per scatenare la piazza.
Poi arrivò Mani Pulite.
Craxi è una figura dolente nella storia italiana, finito in quello che lui chiamava esilio mentre il suo protetto raccoglieva l’eredità, fingendosi uomo nuovo.
Altre similitudini?
Craxi era cinico e molto poco sensibile alle istanze morali, ma in primo luogo era un politico: i mezzi erano rovinosi, Milano da bere, il Psi ridotto ad agenzia d’affari, però il disegno sapeva d’intelligenza politica; l’immoralità craxiana era accidentale. Berlusconi appare molto diverso e non sa cosa sia la politica, dove sfoga appetiti smisurati e gusto del dominio assoluto.
La discesa in campo è stata un modo di sfuggire ai giudici? Lo hanno anche dichiarato pubblicamente.
La frase è famosa: “Se non fossimo scesi in politica saremmo sotto un ponte o in galera”; “le leggi ad personam bisogna farle perché altrimenti si va in carcere”.
Adesso si scatenerà una campagna contro Ilda Boccassini, quasi fosse il poliziotto Javert che, nei Miserabili di Hugo, passa la vita a inseguire Jean Valjean. Ma dell’azione penale obbligatoria non si ricorda mai nessuno?
L’hanno dipinta come una persecutrice, una sorta d’Erinni: vogliono l’azione penale discrezionale, libera, esercitabile o meno secondo lune politiche. Ossia un pubblico ministero con il collare governativo, la cui carriera dipenda dal potere esecutivo. Tale è il senso del discorso sulla separazione delle carriere.
La riforma della Giustizia era uno dei cinque punti di Berlusconi. Ora forse i buoi sono già scappati.
Per fortuna non hanno messo mano all’Ordinamento giudiziario.
Dobbiamo ringraziare Fini?
L’avvenimento politico più rilevante degli ultimi anni è la scissione nel Pdl, vista la timidezza degli oppositori e le loro idee confuse.
Sembra che i processi del premier non riescano mai ad arrivare a una sentenza. Crede che almeno la brutta figura con l’opinione pubblica sia una “pena accessoria”?
Forse no: nello stato attuale dei costumi italiani l’impunità proterva è titolo eminente, molto spendibile nelle campagne elettorali.