Enrico Marro, Corriere della Sera 15/01/2011, 15 gennaio 2011
Per Susanna Camusso il difficile viene adesso. Il segretario della Cgil ha atteso il risultato del referendum di Mirafiori nella sua casa romana e poi ha fatto le necessarie correzioni alla relazione con la quale aprirà questa mattina la riunione del direttivo
Per Susanna Camusso il difficile viene adesso. Il segretario della Cgil ha atteso il risultato del referendum di Mirafiori nella sua casa romana e poi ha fatto le necessarie correzioni alla relazione con la quale aprirà questa mattina la riunione del direttivo. All’ 1.30 di notte c’era una leggera prevalenza del no. Ma quelli scrutinati (circa la metà su 5.500) erano tutti voti espressi dal reparto montaggio, quello dove la catena è più dura e dove Fiom e Cobas sono più forti. Quindi era ancora possibile, anzi probabile secondo diversi sindacalisti, che alla fine vincesse il sì (sia pure con un margine inferiore alle attese), grazie al voto degli impiegati e dei lavoratori dei reparti dove i nuovi ritmi di lavoro previsti dall’intesa incidono meno. In ogni caso, all’ 1.30, il risultato era incerto e due scenari erano possibili. Partiamo da quello della vittoria del sì. Camusso fin dall’inizio della vertenza Mirafiori pensava che questo fosse il risultato più probabile e aveva messo sull’avviso la Fiom di Maurizio Landini e proposto una via d’uscita: prendere atto del voto e comportarsi di conseguenza per rientrare nell’accordo tra la Fiat e gli altri sindacati e non restare esclusi dalla fabbrica, che prevede rappresentanti sindacali solo per i firmatari. Ma non c’è stato verso. «Non firmeremo mai ha risposto Landini. La vittoria del sì, in teoria, dovrebbe indebolire il leader della Fiom. Ma se essa non fosse netta, non è detto. Camusso resterebbe comunque dell’idea che è necessaria una re-entry strategy, che prevede più tappe su diversi piani. All’interno per far cambiare gradualmente idea al vertice della Fiom, ma senza soluzioni traumatiche come il commissariamento dei ribelli. All’esterno per arrivare a un accordo con Confindustria, Cisl e Uil su nuove regole sulla rappresentanza e la democrazia sindacale, secondo la proposta che lo stesso direttivo della Cgil approverà oggi. Tutti questi passaggi richiedono tempo, ma questo ci sarebbe secondo la Cgil, perché è previsto che i lavoratori di Mirafiori stiano ancora per un anno in cassa integrazione, prima che partano le nuove produzioni previste dalla joint venture con la Chrysler. Bisognerà quindi aspettare che nella Fiom si aprano contraddizioni e maturino diversi equilibri. Forzature rispetto a un tale percorso prevedono l’ipotesi che siano le strutture locali della Fiom (dai delegati di fabbrica alla Fiom di Torino o del Piemonte) ad assumersi la responsabilità di firmare con la Fiat (sempre che l’azienda e gli altri sindacati lo accettino). Più difficile pensare invece alla Cgil che firmi al posto della Fiom, che, soprattutto se il risultato del referendum sarà un quasi pareggio, avrà molte carte ancora da giocare. Sul fronte esterno, invece, due le difficoltà. La prima è rappresentata dalla scarsa volontà di Cisl e Uil di offrire una sponda alla Cgil dopo uno scontro così aspro. La seconda dalle divisioni tra gli imprenditori sulla linea da seguire dopo la svolta Marchionne. Il secondo scenario possibile, sempre all’ 1.30 di notte, era invece quello della vittoria, a sorpresa, del no. In questo caso sarebbe anche la vittoria della Fiom di Landini. L’ipotesi della firma tecnica non avrebbe più ragione d’essere. Camusso probabilmente seguirebbe la linea del segretario generale dei metalmeccanici, che in questo caso chiederebbe una riapertura della trattativa con la Fiat. Ma è chiaro che entrerebbero in scena altre variabili. Forse il governo dovrebbe scendere in campo e si intensificherebbero le pressioni sull’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, affinché non attui la minaccia di spostare all’estero le produzioni previste per Mirafiori. In difficoltà sarebbero anche Cisl e Uil che hanno sostenuto il sì, mentre la Confindustria avrebbe forse qualche ragione per rimproverare a Marchionne di non aver seguito una linea più morbida. Enrico Marro © RIPRODUZIONE RISERVATA