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 2011  gennaio 15 Sabato calendario

Il presidente rovinato da Leila la vera anima nera del regime - Chiamatela fuga se vi pare. Ma forse quello di Ben Alì è solo l’ultimo viaggio

Il presidente rovinato da Leila la vera anima nera del regime - Chiamatela fuga se vi pare. Ma forse quello di Ben Alì è solo l’ultimo viaggio. L’ultimo volo sulle tracce dell’amata Leila Trabelsi, la spregiu­dicata e discussa seconda moglie ispiratrice di tutti i suoi errori e di tut­te le sue disgrazie. Di lei non si sa nul­la da quei confusi giorni di metà di­cembre quando il ventre profondo del paese incomincia a rumoreggia­re e le voci di palazzo la danno in par­tenza per lidi lontani. In quei giorni la 53enne ex parrucchiera cresciuta nei sobborghi della città e salita, let­to dopo letto, fino alle stanze del pa­lazzo presidenziale probabilmente ha già capito tutto. A dar retta ai bisbigli di Tunisi ha fatto prelevare 1500 lingotti d’oro dai forzieri della banca di Stato per farli caricare sull’aereo pronto a tra­ghettarla in una villa di Dubai. Certo son voci, ma ben s’addicono all’im­magine di una «premier dame» con­siderata l’origine di tutti i mali, la grande corruttrice di un presidente un tempo saggio e amato, l’ambizio­sa mantide divoratrice delle ricchez­ze del Paese. Una mantide di lonta­na origine libica sospettata ora an­che di aver orchestrato la partenza del marito con l’aiuto delle autorità di Tripoli. Una partenza sulla strada dell’esilio considerata anche la pri­ma tappa del ricongiungimento fa­miliare con quella che a Tunisi tutti chiamavano la «reggente». In quel soprannome è rinchiuso il coacervo di odio, risentimento e rabbia che cir­condano l’ex parrucchiera, sposata in seconde nozze da Ben Ali nel 1992, e la sua famiglia. Una famiglia quella dei Trabelsi il cui nome risuo­na da tre settimane in tutte le piazze. Lo slogan più urlato dei moti «No ai Trabelsi no ai predatori di stato», è destinato forse a diventare il titolo fi­nale della grande rivolta, della ribel­lione contro una donna e un clan ac­cusati di aver trasformato la nazione in proprietà privata e le casse dello stato in un bancomat personale. La verità su Leila la sanno in pochi. La storia di quella ragazzina smaliziata uscita da una famiglia di undici fra­telli e sorelle, le vicende di quell’ado­lescente conturbante e disinvolta passata dalla banlieu alle feste della Tunisi più elegante, le avventure di quella parrucchiera seduttrice e disi­nibita sempre al fianco di uomini molto più ricchi ed anziani sono - da vent’anni-un segreto di stato.Un se­greto gelosamente custodito da quando nel 1992 Ben Alì la promuo­ve da amante a seconda moglie. Da quel momento Leila Trabelsi, i suoi undici fratellini, la loro prole e i loro amici iniziano una inarrestabile corsa al potere e alla ricchezza. Il ca­pofila della scalata è Belhassen, il fra­tellino prediletto di Leila. Inserito prima nel comitato centrale del­l’Rcd ( Rassemblement constitution­nel démocratique) il partito fondato da Ben Alì Belhassen siede poi nel consiglio d’amministrazione della Banca di Stato di cui diventa, si dice, il vero gestore ombra. Un ruolo facili­tato dalla gestione più o meno simbo­lica dell’istituto di Stato affidato dal 2008 ad Alya Abdallah una signora conosciuta come l’obbediente ami­ca della «premier dame». Se Belhas­sen è la punta il resto del clan non è da meno. Grazie alle attenzioni di Leila nessuno resta indietro. Nessu­no resta escluso. L’amata, ma poco studiata cugina Najet si trasforma, ad esempio, da infermiera di profes­sione in direttrice dell’ospedale di Kheireddine. Ma l’immagine forse più devastan­te del sistema di potere affidato al controllo di Madame Leila è quello narrato dall’ambasciatore america­no Robert Godec in un dispaccio se­greto rivelato da Wikileaks. In quel messaggio si riferiscono i dettagli di un opulenta cena nella magione di Nesrine, la primogenita di Ben Ali e Leila, e di suo marito Mohamed Sakher El Materi. In quella cena il 28enne El Materi, già trasformato in uno degli imprenditori più ricchi del Paese, serve un dessert di dolci e gela­ti fatti arrivare freschi freschi da Sa­int Tropez grazie ad un volo privato pagato con i soldi dello Stato.In quel­l­a cena l’ambasciatore americano as­siste stupefatto al pasto della tigre Pasha ospitata in una gabbia della sa­la da pranzo e nutrita con quattro polli al giorno. Un fasto e uno scialo da fine impero degni – annota il pro­fetico ambasciatore - del regno di Saddam Hussein e di suo figlio Udai.