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 2011  gennaio 15 Sabato calendario

«Non voglio il sussidio, meglio lavorare» nostro inviato a Torino Giosuè Meo ha 45 anni, sposato due volte, due figli acquisiti e la Fiat nel destino

«Non voglio il sussidio, meglio lavorare» nostro inviato a Torino Giosuè Meo ha 45 anni, sposato due volte, due figli acquisiti e la Fiat nel destino. Figlio di un operaio di Mirafiori, casa nel villaggio Fiat di Settimo Torinese, 23 anni di catena di montaggio alle spalle. Operaio di quarto livello, lavora alla linea di montaggio dell’Alfa Mito. Ieri il suo turno alle Carrozzerie cominciava alle 14: «Voterò sì perché manterrò il posto e guadagnerò di più. Se vin­cerà il no, da lunedì mi metterò in cerca di un nuovo lavoro. Qui non ci sarà futuro». Entrò in Fiat nel 1988 con un’infor­nata di figli di dipendenti, da bambi­ni giocavano nello stesso cortile e da grandi lavorano nello stesso reparto. «Pentito? Quando mai. Da ragazzo mi aveva assunto una legatoria con 80 dipendenti, il proprietario ci stava sempre col fiato sul collo. A Mirafiori salutavo il caposquadra a inizio tur­no, poi non lo vedevo più. Nessuno controllava il lavoro. La Fiat era una garanzia, nel bene e nel male; mio pa­dre ci aveva mantenuto la famiglia e comprato casa». Altri tempi, le Car­rozzerie avevano 13mila dipendenti ora ridotti a 5.500. «Mi misero a mon­­tare vetri. Ero giovane e mi piaceva la­vorare, ero più veloce della linea: ne montavo 4-5 in sequenza per rita­gliarmi qualche pausa, a volte anche il tempo di un caffè». Meo è un testimone diretto della metamorfosi Fiat. «La linea di mon­taggio è fastidiosa, non ti puoi allonta­nare, non sei libero di gestirti il tem­po. Ma i robot hanno cambiato mol­tissimo ». Le tute blu li chiamano «partner», come in una convivenza che non diventa matrimonio. «Una volta montavamo le plance a mano, un pezzo alla volta. Ora che accorpa­no anche pedaliere e ventilazione, il partner li alza e li sistema mentre noi controlliamo con il joystick. Ai sedili ci spaccavamo la schiena per solleva­re i pezzi e montarli, ora gli addetti de­vono soltanto fissare le viti. Al sotto­scocca lavoravamo sdraiati, con le braccia sempre in alto e la faccia in su sempre sporca d’olio che colava, mentre adesso un supporto meccani­co ruota il pianale di 90 gradi e me lo colloca di fronte: fissare un tubo o una marmitta comporta lo stesso sfor­zo di piantare un chiodo». Tutto sommato, le novità introdot­te dall’accordo del 23 dicembre sono poca cosa di fronte agli stravolgimen­ti indotti dalla tecnologia alle catene di montaggio. «È vero, perderemo 10 minuti di pausa, ma era una rinuncia già prevista due anni e mezzo fa, quando venne introdotto il nuovo si­stema di controllo delle lavorazioni che ora sta uscendo dalla fase speri­mentale. Lavoreremo di più, ma avre­mo anche più soldi. Il contratto attua­le prevede cinque scatti biennali nei primi anni dopo l’assunzione,poi ba­sta: significa che i “vecchi“non vedo­no u­n aumento in busta paga da tem­po immemorabile. Ora con il passag­gio nella nu­ova società gli scatti già ac­quisiti vengono assorbiti nel supermi­nimo e si aprirà un meccanismo per ottenerne altri cinque». È così che Meo spiega il guadagno ottenuto in cambio del sì al referen­dum. «L’accordo di Natale mantiene le condizioni di miglior favore garan­t­ite da Fiat rispetto al contratto nazio­nale, come il trattamento dei giorni di malattia e il pagamento di straordi­nari, notturni e festivi. Da 1.100-1.200 euro netti al mese si potrà passare a 1.400-1.500. Non arriveremo ai livelli delle tute blu tedesche, ma in Germa­nia la flessibilità è ancora maggiore». Il diritto di sciopero? «È garantito. E mi sembra corretto impegnarsi a non scioperare contro un patto dopo aver­lo accettato». E Marchionne, com’è visto dagli operai Fiat? «È antipatico per il suo modo di parlare rude, ma chi bada alla sostanza non lo vede ma­le. Magari non gli metterebbero i tap­peti rossi di Chiamparino o della Chrysler, ma non dimentichiamo che nel 2005 eravamo sull’orlo del fal­limento. Magari ci fossero altri 20 ma­na­ger che ricattano l’Italia con miliar­di di investimenti. Ma se prevalesse il no, da lunedì mi cercherei un altro la­voro. Termini Imerese ha chiuso, de­gli interventi del governo non mi fi­do, non mi aspetto altri interventi esterni. Da giorni la Fiom e i Cobas fanno terrorismo psicologico, ma io non voglio finire con gli assistenti so­ciali che mi passano 300 euro al mese di sussidio».