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 2011  gennaio 20 Giovedì calendario

LO STATO SIAMO NOI

Il Pdl? Qui l’abbiamo soffocato nella culla... Quasi te lo vedi, il robusto Cesarino Monti, anni 63, corridore di rally, sindaco per dieci anni senza aver mai indossato una sola volta la fascia tricolore e ora senatore del Carroccio, nell’atto di zittire i vagiti del fardello pidiellino prima che diventasse ingombrante. Perché questa è Lazzate, Brianza, 7.500 anime, Lega al potere fin dal ’93 e sempre da sola, contro destra e sinistra ridotte al lumicino. È il paese del leghismo realizzato, Lazzate: dove anche le striscie pedonali sono verdi e le nuove vie si chiamano Pontida, Padania, Carroccio, Lega Lombarda, Sole delle Alpi, Gianfranco Miglio, Bruno Salvadori, Daniele Vimercati, e Carlo Cattaneo l’Arengario completato cinque anni fa. Dove nel regolamento edilizio sta scritto niente minareti né case moresche e persino l’Osteria del borgo ha per contratto col Comune che per vent’anni non può servire né pizza né kebab o couscous, solo cucina lombarda.
Letti da qui, tutti i nodi e gli snodi della politica nazionale, con quel loro sentore di noiosa alchimia parlamentare e bieca compravendita di scranni, appaiono come vengono percepiti dal cuore e dalla pancia del Carroccio: occasioni da sfruttare o inciampi da scavalcare lungo la via che prima o poi, ne sono convinti, per dritto o per traverso porterà a fare a meno dello Stato, dell’Italia e di Roma. Proprio qui a Lazzate (Lazzàa Comune della Padania, recita il cartello stradale), tra la folla plaudente della Sagra della patata del settembre scorso, a Umberto Bossi scappò la battuta "Spqr, sono porci questi romani".
RIGORE E AUSTERITÀ
"L’Udc? Son democristiani, dai! "Con chi andiamo lo diciamo dopo": ma per favore!", storce il naso un giovane militante con l’aria vagamente schifata. "Tirargli il collo, a quei traditori dei finiani!", impreca per strada un altro, anziano leghista, nella quasi-piazza in faccia al lavatoio che sembra centenario e invece l’han montato qualche anno fa con antiche pietre e legni, "perché qui non c’era niente, il centro diventava preda dei disperati, le case le vendevano agli extracomunitari, e allora abbiamo sistemato vie e giardini, recuperato la casa estiva di Alessandro Volta, abbellito e ridato dignità al paese, ci abbiamo anche la wi-fi per tutti, sa..." Al voto, al voto? "Se non ci sono i numeri, passiamo all’incasso: ma è perché abbiamo lavorato, mica è un furto!". Lega all’arrembaggio. Lo Stato? "Stiamo bene perché è assente". Lega del secessionismo morbido. La borsa stretta di Tremonti? "Io non mi son mai lamentato dei tagli in vita mia. Ma se in Sicilia assumono altri 4 mila netturbini...". Lega del rigore e dell’austerità: e questo era di nuovo il Cesarino, che qui chiamano ’l sindic anche se adesso primo cittadino è un altro Monti, più giovane, non parente; ma lui, vicepresidente della Commissione Ambiente a Palazzo Madama, è di quelli che "comunque meglio un giorno da sindaco che cento da senatore". Della "palude romana", come l’ha chiamata Bossi, dice che "ci trovi dentro di tutto, draghi, serpenti, sabbie mobili: ormai abbiamo gli anticorpi, ma non fosse per il Condottiero che ci guida fuori ci saremmo già annegati...". Rivendica che da amministratore lui usa "tutti i mezzi per far crescere l’autonomismo", convinto che "i decreti attuativi del federalismo passeranno, ma per inciamparne l’applicazione s’inventeranno mille ostacoli, e la gente non ne può più, io ci parlo al bar tutte le mattine: finirà per chiedere una secessione non violenta, e per ottenerla".
Ciò che viene fuori, mettendo insieme i pezzi, è un mood che sfugge in genere alle cronache della politica: vincere un’elezione, conquistare un Comune o una Provincia (o una banca, una municipalizzata, una Asl o un’altra leva di potere) non è sentito e vissuto come normale alternanza democratica, ma come passo o tappa del processo costituente di un Nord che si sgancia dalla zavorra del Sud come dagli equilibrismi di Montecitorio. Allenta i legami, e quelli che non riesci a spezzare prima o poi si spezzeranno da soli: perché tale è il corso della Storia, e perché il Grande Timoniere è ben scafato nell’evitare gli scogli e schivare i siluri. Se obbietti che persino nella regione dove la Lega è nata sono ancora Formigoni e la Compagnia delle Opere a farla da padroni, ti rispondono fiduciosi: "Non resterà mica imperatore della Lombardia a vita! Il prossimo governatore sarà nostro". E l’alleato Berlusconi? "Certe leggi sulla giustizia le voto per disciplina di partito, non è che possiamo metterci a litigare un giorno sì e uno no. Ma anche lui non sarà mica immortale!".
Capito? Dice il vero, Roberto Maroni, quando con unabattuta definisce la Lega "l’ultimo partito leninista". Non solo perché il Capo ha l’ultima parola (allora anche Berlusconi nel Pdl) ma più ancora perché il Carroccio, come solo il Pci d’antan aveva, ha davvero in testa una rivoluzione delle strutture statuali: a questo mira e lavora con ogni suo atto, al centro e in periferia. Sapete perché a Lazzate, fiore all’occhiello col record di voti, iscritti e militanti leghisti dall’asilo all’ospizio (e ai record aggiungiamo gli immigrati all’irrisoria percentuale dell’1,3 per cento), non c’è nemmeno un’organizzazione dei Giovani Padani e la Festa della Lega la fanno ogni cinque anni? Perché tutto è già targato Lega, di feste e mercatini "senza roba cinese" il Comune ne monta quattro all’anno, clou la citata Sagra della patata biancona: quando per le selezioni di Miss Padania sciamano le "tose" da mezza Brianza, i ragazzi fanno baldoria e conquiste, il barista incassa in un giorno quanto in un mese di magra. Qua siete già Partito-Stato, butto lì. "Ha detto bene", maramaldeggia soddisfatto il senatore della Repubblica italiana Cesarino Monti.
GIOVANI E PRAGMATICI
Dove governava da quasi vent’anni, la Lega ha piantato radici profonde e disegnato l’albero a sua immagine. Dove ancora al potere non era, come a Azzano San Paolo poco fuori Bergamo (e appena un po’ più grande di Lazzate), c’è arrivata nel 2009 con la generazione dei venti-trentenni. Tutti nati con la Lega (l’unico Pdl in consiglio è all’opposizione anche se è assessore a Bergamo nella giunta Pdl-Lega), nessuno già politico o peggio ex democristiano: "Quando c’era la Dc io giocavo ancora con le Barbie", confessa il sindaco Simona Pergreffi, architetta, bella peperina (vedere su YouTube il video della sua litigata in piazza con un consigliere di Rifondazione il giorno in cui sfrattarono una famiglia marocchina). Tutti "allevati nei gazebi a pane e Lega", come il giovane assessore Orlandi ma anche Vavassori, Belotti, Lorenzi, Gambaro e gli altri, più d’uno dai padri leghisti: ché il Carroccio local-popolare è prima ancora un partito di radicata convinzione familiare, emblema Renzo Bossi il "Trota". Il precariato sanno benissimo cos’è, dunque non appena hanno in mano l’arma di una delibera o di un accordo di programma la usano per mettere paletti sul lavoro: esempio, saranno di Azzano un quarto dei duemila nuovi assunti del "polo del lusso" che l’immobiliarista Antonio Percassi sta costruendo a ridosso di Orio al Serio. Berlusconi è "affidabile", Tremonti "di più", e il federalismo fiscale è certo bandiera, simbolo e parola d’ordine, ma dalla sua approvazione si aspettano, come Comune, sui due milioni di euro contro 1,3 di oggi. E siccome Azzano val bene una tassa, loro, voce del popolo delle partite Iva, si sono accordati con l’Agenzia delle entrate per scovare gli evasori fiscali: al Comune andrebbe infatti un terzo dell’eventuale imposta recuperata.
I giovani Pd si sprecano nei papocchi delle primarie, quelli Pdl sono modellati sul casting di un format, quelli Udc esordiscono già simili a vecchi dc: c’è da stupirsi se prendono più voti questi che, con addosso il sacro fuoco del federalismo, fanno attacchinaggio e vanno a spalare la neve assieme al sindaco? Col 12 per cento di immigrati giurano non ci sono guai, "il giorno 6, alla Befana leghista, abbiamo distribuito un sacco di calze e dolciumi anche ai loro bimbi". E a un’altra festa a suonare in piazza han chiamato i Tamikrest. Un gruppo del Mali invece del qua famoso Bepi & the Prismas, che canta in bergamasco e veste come Pecos Bill? "Non lo scriva, ma Bepi costa troppo per le nostre tasche..."

SPEZZATINO PDL
Ah, questi immigrati, quanti voti portano al Carroccio! A Vittorio Veneto "su 30 mila abitanti, abbiamo 2.500 regolari, albanesi, marocchini, bosniaci, rumeni, croati. Mai stati episodi di intolleranza: sa, qua siamo quasi tutti figli di emigranti, sappiamo cosa vuol dire". La moschea? "Ce l’avevano, in un capannone, gliel’abbiamo chiusa". E dove pregano? "Non so, basta che non si facciano vedere. Vengon qui a lavorare, mica a pregare: e poi neanch’io sono un frequentatore di sagrati...".
Gianantonio Da Re è sindaco da un anno e mezzo, ma da 12 la Lega governa Vittorio Veneto: cuore dello Zaiastan, il regno trevigiano dell’amato e impomatato governatore Luca Zaia che abita qua dietro a Bibano di Godega di Sant’Urbano. Del locale Pdl hanno fatto spezzatino: "Un consigliere sta in maggioranza, tre all’opposizione ma uno di loro vota sempre con noi". L’idea è che dopo il sorpasso regionale (mancato per un soffio alle ultime politiche), la Lega dilaghi e il Pdl si sfaldi. Vittorio Veneto è però anche simbolo di storia patria e di irredentismo, per via della battaglia che nell’ottobre 1918 decise le sorti della guerra e chiuse idealmente il Risorgimento. Cosa ne sia rimasto, oltre al museo, esce di bocca a Antonio Miatto, assessore al Turismo, innovazione e identità: "Una volta per bidonare la gente bastava raccontare quattro storie sul sacro suolo". Storia e dichiarata vocazione secessionista "urtano, sì: ma lei resterebbe in società con un compare che la sera apre la cassa, prende quello che vuole e ti mette dentro anche le cambiali da pagare?". Appurato che il Sud (e lo Stato "impositore") sono il socio di cui disfarsi, "se il federalismo passa resteremo obtorto collo in Italia; ma poi, come si fa in azienda, provvederemo agli opportuni aggiustamenti", dice il sindaco. Brucia, a questa gente che va a funghi in Austria e al mare in Slovenia, il raffronto con l’adiacente Trentino: "Di là danno 250 euro a numero civico per mettere i gerani al balcone, noi fatichiamo a ripulire le strade dalle erbacce". Hanno poco da scherzare, con 200 posti di lavoro persi in centro città in due anni tra Colussi, Cerruti e Italcementi, e gli altri imprenditori che chiudono in zona per impiantar fabbriche in Romania. Ma invece di chiedere una politica industriale confidano "che i veneti riescano come sempre a ricollocarsi con le nuove regole dell’economia mondiale". Etica e mistica del far da sé ("Il resto d’Italia? Affari loro"), del risparmio ("Bene Tremonti più il decreto sui costi standard"), del pagare ognuno il giusto (da marzo, raccolta differenziata porta a porta spinto, sistema Igenio vanto dell’assessora Antonella Caldart, ogni capofamiglia col suo badge per aprire i cassonetti e calcolare quanto deve pagare in base ai rifiuti che deposita).
Ovvio che il far da sé valga a maggior ragione per la politica: "Ci fidiamo solo di noi stessi e dei nostri parlamentari". Il resto, Fini, Casini, Berlusconi, Bersani se c’è, può ruotare e oscillare quanto gli pare. Qua, sulla riva sinistra del Piave, Roma è lontana quanto Timbuktù.