Luca Ricolfi, Panorama 2o/1/2011 (uscita 14/1), 14 gennaio 2011
GLI ITALIANI E IL RISPARMIO
Italiani popolo di santi, poeti e navigatori. E anche di eroi, artisti, «trasmigratori». Così ci definiva Benito Mussolini nel 1934, alla vigilia dell’avventura di Etiopia. Poi vennero la guerra, la ricostruzione, il miracolo economico ( 1958-1963). Eravamo diventati, più prosaicamente, un popolo di formiche: lavoratori indefessi, risparmiatori oculati, cittadini attenti a garantirsi un futuro accumulando ricchezza (case e titoli di stato).
Il mito degli italiani risparmiatori resiste ancora oggi, come strumento di rassicurazione di fronte ai rischi della crisi. L’Italia, ci ripetono Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi, è un paese solido anche perché il debito delle famiglie è basso, e la nostra ricchezza netta rispetto al pil è alta. L’immane debito pubblico sarebbe, in qualche modo compensato dal modesto debito privato.
È tutto vero, ma lo è sempre meno. Ancora nel 2002 la propensione al risparmio delle famiglie italiane era la più alta d’Europa, oggi ci superano diversi paesi, compresi la Francia, la Germania e la Spagna. E sono stati proprio i primi due anni della crisi, fra il 2007 e il 2009, a capovolgere la situazione.
Di fronte alla riduzione del reddito disponibile, la Spagna ha aumentato la sua propensione al risparmio di 7,4 punti, il Regno Unito di 3,6, la Francia di 0,7, la Germania di 0,4. Solo le famiglie italiane hanno ridotto (-0,8) la quota di reddito destinata al risparmio, e quindi aumentato quella destinata al consumo. E i dati Istat del terzo trimestre 2010, confermano che la propensione al risparmio degli italiani continua ascendere (-1,3 fra il 2009 e il 2010).
Perché noi italiani abbiamo reagito diversamente alla crisi? Le ragioni sono almeno due. La prima è che in nessuno dei maggiori paesi avanzati il crollo del pil è stato ampio come in Italia. Fra il 2007 e il 2009 il pil è diminuito di quasi 8 punti in Italia, di 7,2 in Giappone, di 6,2 punti nel Regno Unito, di 5,8 in Spaglia, di 4,4 negli Stati Uniti, ma solo di 3 punti circa in Francia e Germania. E ovviamente è più difficile risparmiare là dove, come in Italia, il reddito è calato di più.
Ma c’è una seconda ragione per cui la propensione al consumo in Italia è aumentata, anziché diminuire come negli altri paesi. Gli economisti chiamano questa ragione, o meglio questo meccanismo, effetto ricchezza, o effetto Pigou, dal nome delllo studioso che per primo ne ipotizzò l’esistenza. L’idea è che il consumo delle famiglie non dipenda solo dal reddito disponibile, ma anche dalle variazioni della ricchezza netta, sotto forma di immobili e di attività finanziarie. Se la ricchezza cresce molto velocemente, come è successo in diversi paesi negli ultimi 20 anni grazie alle bolle finanziaria e immobiliare, la propensione al consumo aumenta perché le famiglie «fanno conto» sul valore del patrimonio, e diventano molto più disposte a indebitarsi. Se la ricchezza diminuisce, perché crollano le borse e si sgonfiano i prezzi delle case, le famiglie si spaventano e reagiscono consumando di meno.
È quel che è successo nel biennio della crisi, ma in misura diversa nei vari paesi. In Spagna e nel Regno Unito la ricchezza ner abitante è crollata di circa il 20 per cento, in Italia è scesa «solo» del 5-6 per cento meno che in Francia, in Germania, negli Stati Uniti. È anche questo che ci ha permesso di fare le cicale.