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 2011  gennaio 14 Venerdì calendario

NARCOSALE. COSI’ BARCELLONA SFIDA LA DROGA

Nessun cartello all’ingresso, nessun controllo, nessun giudizio. È piccola, metallica, quasi invisibile, la porta che separa la traversa di una delle strade più affollate del mondo, le Ramblas di Barcellona, da un universo obbligatoriamente intimo e segreto. Quello dei tossicodipendenti che, grazie all’aiuto dei volontari che battono a tappeto le strette «calles» del centro gotico, trovano uno spazio dove consumare le proprie dosi
sotto l’osservazione di infermieri.
Alessandro è italiano, ha circa trent’anni, ed è uno dei tanti che passano ogni giorno nella sala Baluard, l’area per il consumo controllato di droghe di Barcellona. Entra, compila un questionario, si fa assegnare un codice, consegna una siringa usata in cambio di un kit sterilizzato e fa tra queste mura quello che, altrimenti, avrebbe fatto in strada. «Accogliamo una media di 130 persone al giorno» racconta la direttrice del centro, Esther Henar. La maggior parte sono uomini, stranieri, tra i trenta e i quarant’anni. I più numerosi sono gli italiani (più di cento solo nell’estate del 2009), seguiti dai rumeni e i marocchini. «Le persone a cui offriamo assistenza spesso vivono condizioni di emarginazione, sono soprattutto immigrati che dormono in strada o, nel caso degli italiani, turisti, che poi continuano il “tour delle droghe” per il resto dell’Europa».
Nella sala diretta da Esther lavorano più di cinquanta specialisti della ong Asociación Bienestar y Desarrollo (Associazione Benessere e Sviluppo). L’Agenzia della Sanità pubblica di Barcellona ha affidato alla Abd la gestione di due delle quattro narcosalasdella città. La più grande è Baluard, che dal 2004 registra quasi un milione di ingressi l’anno: tra questi, circa tremila sono persone che vi entrano per un’unica volta. Poco distante c’è un’altra sala come questa, gestita dalla Croce Rossa, che riceve circa trenta persone al giorno. Ma la sala più singolare è quella chiamata Unità mobile: un autobus bianco parcheggiato nella Zona Franca, vicino al porto e ai palazzoni abitati dai gitani che monopolizzano lo spaccio di cocaina. «È l’unico bus in Europa che permette di consumare droga in un
contesto controllato e di conoscere i trattamenti per la disintossicazione» dice la coordinatrice, Cristina Beltran. «Dipende poi dagli utenti fare quel passo, e purtroppo non sono molti quelli che accedono alle cure».
Eppure, sebbene solo il 12 per cento degli assistiti decida di tentare poi un trattamento a base di metadone, questi centri (dapprima osteggiati dalla comunità locale) si sono via via dimostrati di grande utilità. A Barcellona le siringhe abbandonate per strada si sono dimezzate in sei anni. Le morti per overdose e la percentuale di contagio di Hiv tra i tossicodipendenti si sono quasi azzerate in tutte le città che hanno adottato questo metodo. Esistono un centinaio di Safe injection roomsnel mondo, concentrate soprattutto in Olanda, Germania, Australia, Norvegia, Svizzera e Spagna. E il dibattito sull’opportunità di aprirne ferve anche in Francia o in Danimarca, dove l’opposizione di governi e abitanti è ancora molto forte.
Anche in Italia, nel 2006, era stata proposta una politica di «riduzione del danno», per far diminuire il numero delle aggressioni e degli omicidi compiuti dai tossicodipendendi: le esperienze di Olanda e Regno Unito provano l’efficacia
di queste politiche in tal senso. Da allora, però, delle «sale del buco» non si è più parlato: i tossicodipendenti italiani continuano a stare in strada. «Forse per questo vedono le sale di Barcellona come isole di sicurezza» azzarda Manuel Piñeiro, dell’Agenzia della sanità pubblica. Anche qui aveva provocato agguerrite proteste l’inaugurazione, nel 2005, di una narcosala in un grande ospedale della città, il Vall de Bron. Oggi nessuno si oppone più. «La città ha capito che la tossicodipendenza è una malattia, non un delitto» conclude Piñeiro. Ma ci vuole
tempo. Da dieci anni l’Agenzia e l’Adb lavorano in questo senso, con l’appoggio di Comune e Regione.
Qualcuno ancora protesta per la concentrazione di centri nel quartiere adiacente alle Ramblas. Così, per diluire l’impatto sul centro storico cittadino, è stato approvato un piano che prevede l’apertura di una sala in ogni «barrio»: altre nove entro il 2014. Hanno tutte un aspetto asettico, tavolini bianchi appoggiati a pareti immacolate e pochi oggetti: uno specchio, un cestino, una sedia scomoda. All’ingresso nessuna insegna, solo un cartello: «Si te metes, no te mates». Ovvero: «Se ti droghi, non ti uccidere».