Giovanni Arata, Nòva24 14/1/2011, 14 gennaio 2011
DA WIKILEAKS ALLE NOTIZIE
«Senza dubbio si tratta di una situazione straordinaria: nel corso della storia la nostra redazione non si era mai trovata a gestire oltre 250mila documenti in contemporanea». Andrea Rizzi è reporter della sezione Esteri de «El Pais» e componente della "squadra speciale" creata dal giornale spagnolo per lavorare sul database di Wikileaks. «Quando poche settimane prima dell’avvio delle pubblicazioni (fine novembre, ndr) 30 di noi furono convocati dalla direzione per la prima riunione riservata – racconta Rizzi a Nòva24 – nessuno conosceva l’oggetto dell’incontro. Ci fu spiegato solo che pochi giorni prima il direttore aveva ricevuto, in forma integrale e non strutturata, l’intero database, e che di lì a poco avremmo cominciato a lavorarci in partnership con alcuni giornali stranieri».
Per fare fronte alla mole di documentazione, e alla sua mancanza di organizzazione, il direttore del giornale Javier Moreno decise di strutturare un gruppo che poteva contare su corrispondenti ed ex corrispondenti dall’estero, giornalisti delle redazioni Interni, Economia ed Esteri della sede centrale, responsabili della scuola di giornalismo interna, esperti informatici. «All’interno del l’équipe – spiega Rizzi, – è stata poi creata una suddivisione di carattere geografico, una unità lavora sui documenti provenienti dalla Spagna; una seconda su quelli riconducibili alle sedi diplomatiche latino-americane; la terza sui dispacci provenienti dal resto del mondo».
Il coordinamento sull’attività quotidiana è in capo a due vicedirettori, in contatto col direttore. Ogni reporter ha una sua area di competenza e opera in autonomia secondo i metodi e i canoni di sempre, «la traiettoria per cui un cablo diventa un articolo pubblicabile non è concettualmente diversa da quella percorsa da qualsiasi altro documento. È il giornalista che segue la storia, legge i dispacci, verifica informazioni e fonti, esamina eventuali documenti collegati, prepara la bozza di storia da sottoporre al vicedirettore. In questo caso la delicatezza della vicenda e i suoi riflessi internazionali ci impongono un’attenzione ancora maggiore, ma i criteri restano gli stessi: rigore metodologico, approfondimento costante, obiettività e chiarezza nel rendere le storie».
A livello di rapporti tra i giornali, invece, il caso WikiLeaks crea una situazione originale. «Fin dall’inizio l’accordo tra i partner è stato quello di condividere tutte le storie per poi pubblicarle secondo un calendario concordato. Ogni volta che un pezzo riceve l’ok dalla singola testata esso viene inserito in un repository comune a tutti e cinque i giornali, completo di tutti i riferimenti ai cabli su cui poggia e delle segnalazioni sugli omissis suggeriti per esso. È poi discrezione del singolo giornale scegliere se pubblicarlo o meno nella data prescelta».
Si crea in questo modo una sorta di macro-redazione a scala globale, composta da diverse delle migliori penne del pianeta e regolata da un inedito principio di cooperazione competitiva. Altrettanto intrigante è la dinamica che si crea tra le testate e il potere politico. «Periodicamente, e a nome di tutto il gruppo, il «New York Times» prende in carico il pacchetto delle storie, li discute con il Dipartimento di Stato e subito dopo informa gli altri soci rispetto ai suggerimenti. I direttori si riservano la possibilità di proseguire in maniera indipendente in tutti i casi in cui i rilievi non vengano ritenuti condivisibili». Tale linea risponde a un principio semplice: «Riconosciamo ai governi il diritto di mantenere il segreto su certe vicende. Tuttavia ve ne sono altre che vengono mantenute segrete senza ragione, e che le opinioni pubbliche hanno diritto di conoscere. Queste vanno in pagina» aggiunge Rizzi.
Più sfumato il giudizio sui nuovi soggetti informativi e sul loro rapporto con i media tradizionali. Da una parte il giornalista de «El Pais» evidenzia come la comparsa di soggetti la WikiLeaks costituisca un forte elemento di discontinuità e pressione per i giornali, che non posseggono più l’esclusiva sulle notizie. Dall’altra Rizzi si dice convinto che l’avvento dei nuovi player riaffermi la centralità delle imprese editoriali classiche e anzi costituisca per loro una grande possibilità di rilancio: «La traiettoria storica di WikiLeaks mostra come, per poter raggiungere una porzione significativa dell’opinione pubblica, e svolgere la funzione di mediazione e filtraggio dell’informazione, i nuovi attori non possano che avvicinare le strutture tradizionali e cercarne la collaborazione».