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 2011  gennaio 14 Venerdì calendario

CON LA RUSSIA LA STORIA È A TUTTO GAS

La "vicinanza" fra Berlusconi e Putin non è più un problema per la Casa Bianca, così ha affermato in una recente intervista alla Stampa l’ambasciatore americano David Thorne, che ha smentito anche le voci su un dissidio insanabile fra Italia e Usa a proposito del progetto sul metanodotto italo-franco-russo South Stream, realizzato dall’Eni, e quello Nabucco, patrocinato da Usa e Ue, dato che, a suo avviso, non esiste incompatibilità fra queste due iniziative.

D’altra parte, non è che Washington possa impartire lezioni in materia, in quanto ha badato da sempre ai suoi esclusivi interessi nella gran corsa all’oro nero iniziata agli albori del 900. Quanto all’Italia, esclusa dall’accesso ai giacimenti del Medio Oriente dal predominio della Gran Bretagna, ha cercato di arrangiarsi trovando, fin da allora, una sponda in Russia. Così avvenne dopo la visita a Roma nell’ottobre 1909 dello zar Nicola II per la firma di un’intesa diplomatica, a cui aveva fatto seguito l’importazione di combustibili russi in cambio di nostri autoveicoli. Allo stesso modo erano andate le cose durante la Grande guerra e poi nel 1921, quando i delegati di Lenin s’erano incontrati con lo "stato maggiore" della Confindustria, offrendo nafta e chiedendo in contropartita autocarri e trattori agricoli.

In quell’occasione, a sollecitare

un accordo erano stati il leader della Cgdl Ludovico D’Aragona e alcuni esponenti socialisti, che intendevano assecondare sia la ripresa post-bellica della nostra economia e dell’occupazione sia il successo della Nep, la Nuova politica economica inaugurata da Mosca.

A tal fine le trattative sarebbero

andate probabilmente in porto

se non ci fosse stata di mezzo la

questione del riconoscimento ufficiale dell’Unione Sovietica su cui la nostra diplomazia nicchiava.

Fu Mussolini, dopo la marcia su Roma, a sciogliere questo nodo. Nonostante l’antitesi radicale tra fascismo e comunismo, gli stava troppo a cuore dimostrare che con lui l’economia italiana avrebbe ricominciato a marciare per lasciarsi sfuggire l’occasione, sbloccando l’impasse con Mosca, di concludere così dei buoni affari: di qui, poi, il trattato di commercio e navigazione con Mosca firmato nel febbraio 1924.

Che con l’Urss, pur di ottenere petrolio ma anche del grano, occorresse non stare a pensarci, il Duce lo ribadì nel gennaio 1931, dopo che la Riv s’era aggiudicata la costruzione in Russia di un grande stabilimento di cuscinetti a sfera. Con alcuni ministri, in dubbio che Mosca onorasse alla fine i suoi impegni, e quindi contrari ad accordare adeguate fidejussioni alla Fiat per l’inizio dei lavori, Mussolini tagliò corto: «I Soviet hanno sempre pagato», per cui era «inutile imbottirsi di garanzie suppletive».

A sua volta, il ministro della Ricostruzione economica del governo Parri, Meuccio Ruini, non ebbe da obiettare alle sollecitazioni di Valletta, secondo cui l’instaurazione di adeguate relazioni economiche con l’Urss sarebbe stata «un importante contrappeso alla penetrazione del capitale inglese e americano nell’economia italiana». Ciò che l’amministratore delegato della Fiat aveva ripetuto all’ambasciatore sovietico Michail Kostylev. E a Mosca se ne ricordarono a tempo debito, chiedendo nel 1956 alla Fiat una licenza per fabbricare in Russia un’utilitaria come la 600. Ciò aveva irritato a Washington lo staff del presidente Eisenhower; e Valletta, per non entrare in rotta di collisione con gli americani, comunicò a Piero Savoretti (che dal 1953 curava a Mosca gli interessi anche della Pirelli e della Olivetti) di soprassedere per il momento a ulteriori pourparler.

A rompere decisamente con gli americani fu poi l’Eni di Mattei, con la benedizione del presidente della Repubblica Gronchi e di quello del Consiglio Fanfani, firmando nel novembre 1960 un contratto con il Cremlino per l’acquisizione di un grosso quantitativo di greggio a cui se ne aggiunse un altro con l’Ansaldo per la costruzione di sette petroliere. La Fiat partì così "in quarta" con i negoziati che portarono poi alla realizzazione della fabbrica di Togliattigrad.

Da allora la tela dei rapporti d’affari italo-russi ha continuato a dipanarsi con lo stesso ordito, all’insegna dei reciproci interessi: come, d’altronde, rientra nell’ordine delle cose.