Jacques Le Goff, Corriere della Sera 14/01/2011; Giuseppe Galasso, ib., 14 gennaio 2011
2 articoli – IL DENARO DEL MEDIOEVO DIVIDE GLI STORICI - Sul «Corriere della Sera» del 4 gennaio scorso, il mio stimato amico, lo storico napoletano Giuseppe Galasso, esprime alcune riserve sulla tesi che ho sostenuto nel mio libro, Le Moyen Age et l’argent, pubblicato recentemente in Francia e tradotto da Laterza con il titolo Lo sterco del diavolo
2 articoli – IL DENARO DEL MEDIOEVO DIVIDE GLI STORICI - Sul «Corriere della Sera» del 4 gennaio scorso, il mio stimato amico, lo storico napoletano Giuseppe Galasso, esprime alcune riserve sulla tesi che ho sostenuto nel mio libro, Le Moyen Age et l’argent, pubblicato recentemente in Francia e tradotto da Laterza con il titolo Lo sterco del diavolo. Una ricerca e una riflessione approfondite mi hanno in effetti convinto che se l’uso delle monete, la loro circolazione e la valutazione di un bene in termini monetari erano ampiamente aumentati nel Medioevo, all’epoca non si era giunti al concetto unificatore dell’argent, il denaro. In francese, la parola argent continua a significare soltanto il metallo prezioso; in inglese, money passa solo tardivamente dal significato di moneta a quello di denaro; in italiano, denaro per molto tempo non è che la riformulazione del termine denàrius derivato dal latino per esprimere il tipo più corrente della moneta in uso. La constatazione dell’assenza del concetto di denaro nella mia mente si collega alla tesi, che reputo fondamentale, del grande economista ungaro-americano Karl Polanyi: anch’egli afferma che nemmeno il termine economia— utilizzato nel Medioevo solo per tradurre il significato di economia domestica di Aristotele— aveva il concetto unificatore di economia, di un ambito specifico, poiché, secondo lui, e credo avesse ragione, «l’economia era incorporata — embedded— nel labirinto delle relazioni sociali» . Quello che più tardi è stato chiamato denaro, soprattutto a partire dalla fondazione della prima Borsa che testimoniava un mercato del denaro, la Borsa di Amsterdam, nel 1609 (un tentativo, ad Anversa, nel XV secolo, era fallito proprio per l’assenza di un concetto di denaro) era secondo me incorporato nel Medioevo in un insieme di concezioni degli scambi dominato dalla potenza divina. Di qui deriva quanto asserisco nel mio libro, facendo seguito all’articolo di Anita Guerreau («Caritas y don en la sociedad medieval occidental» , in «Hispania: Revista Española de Historia» , 2000): cioè che l’insieme degli scambi sociali, compresi economia e denaro, è dominato dalla caritas divina. In tutta la mia opera mi sono sforzato di illustrare la creatività della società medievale cristiana (e mi dispiace che un sottotitolo del «Corriere della Sera» riprenda l’espressione «secoli bui» ), per esempio nell’ambito del pensiero, della città, dell’arte; e penso, come Giuseppe Galasso, che l’uso crescente delle monete abbia migliorato la contabilità, come ha dimostrato il rimpianto Federico Melis. Ma il calcolo non è denaro né economia. Le pratiche evocate da Giuseppe Galasso sono tardive e limitate, mentre le monete, altra cosa che ho voluto esporre, sono penetrate nella società cosiddetta feudale (XI-XII secolo). Quanto a coloro che sono stati chiamati Lombardi perché spesso di origine italiana, come negli interessanti lavori del Centro studi di Asti, in particolare dell’eccellente Renato Bordone, di cui deploro la precoce scomparsa, erano lungi dall’essere banchieri, come più tardi saranno definiti. Erano individui che cambiavano e prestavano denaro, e ancora non potevano esimersi da ogni tipo di itineranza; il che rese necessarie, ancora alla fine del Medioevo, fiere commerciali come quelle di Lione, Ginevra, Francoforte eccetera. Quel che infastidisce Giuseppe Galasso è il mio ricorrere all’antropologia. Ma le genti del Medioevo sono al tempo stesso i nostri antenati e una società le cui pratiche e i cui concetti erano diversi dai nostri. Solo la storia divenuta scienza sociale a contatto con altre scienze, in particolare l’antropologia, può spiegare nella sua verità profonda quella società. Quando Giuseppe Galasso scrive: «Solo la ragione storica può dominare il passato con la forza della propria logica» , egli parla da storico del XIX secolo. Non esiste una ragione storica, essa non domina il passato, non si serve della forza della propria logica. Cerca di far luce sul passato e di spiegarlo, non di dominarlo. Ha dei metodi, non è una ragione. E tenta di riempire il ruolo che le ha assegnato Marc Bloch, di spiegare «il cambiamento delle società nel tempo» rispettando solo la loro specificità e i loro cambiamenti: questo non fa che arricchire la storia rispettando la sua necessità e la sua utilità. Jacques Le Goff (traduzione di Daniela Maggioni) MA SCAMBI E TRATTATIVE DI QUEI MERCATI ANTICIPANO LE «BORSE» - Sono grato all’amico Jacques Le Goff per l’attenzione prestata alle mie perplessità (non tesi alternative) sul suo Le Moyen Age et l’argent (nella traduzione italiana il titolo francese è diventato il sottotitolo). Non ho mai pensato che uno storico noto qual egli è non ribadisse le sue posizioni. Le sue precisazioni non dissolvono, peraltro, quelle mie perplessità. Continua ad apparirmi difficile negare il senso e una qualsiasi realtà dell’argent (che non è solo, e banalmente, il «denaro» , come Le Goff ricorda) per tutto il Medioevo. Ripeto che nemmeno l’assenza materiale di moneta contante né, aggiungo, l’assenza di teorie o ideologie specifiche del denaro (nel senso voluto da Le Goff) possono far negare che la logica sulla quale il denaro si fonda abbia agito nel Medioevo, così come sempre nella storia. Anzi, che cos’è l’uso della moneta di conto se non l’esplicita affermazione di questa insopprimibile dimensione delle società umane? Ed era possibile un organismo produttivo complesso come quello curtense, se non si fosse avuto un qualche, sia pure implicito e ideologicamente mascherato, criterio di razionalità economica? Tardive le realizzazioni degli uomini d’affari medievali italiani? Non lo direi. Mi parrebbe un’indebita sottovalutazione di quel mondo commerciale e finanziario. Alle loro realizzazioni e invenzioni (bancarie e contabili) non si giunge, comunque, per caso e tutt’a un tratto. Se nel ’ 200 si coniano di nuovo monete d’oro, vuol dire che da tempo ne erano maturati l’esigenza e il pensiero. Solo cambiatori e prestatori quegli uomini d’affari? È questione di intendersi. E quanto alla persistenza delle fiere, lasciamo stare altre considerazioni, ma si sa che in quelle fiere avvenivano valutazioni, scambi e compensazioni di tipo, in qualche modo, borsistico. Per il resto, non è il ricorso all’antropologia o ad altre scienze sociali che mi imbarazza. Io stesso ho girato ben più di un po’ per queste strade. È, invece, la preoccupazione dell’autonomia e della specificità della storia; e, se questo significa parlare da storico dell’Ottocento, la cosa mi rallegra. È così pieno di storici sommi quel secolo, e tanti di essi hanno fatto spesso vera e propria storia antropologica (a cominciare dal grande Jules Michelet), che lo stare con loro è una profonda rassicurazione anche rispetto ai problemi della storiografia degli ultimi decenni. E quanto alla ragione storica, si dica come si vuole, dominare o spiegare. Le esigenze terminologiche (e concettuali) possono essere diverse, ma la sostanza non muta. O il passato lo facciamo nostro, dominandolo o spiegandolo, ma, beninteso, senza anacronismi e alterazioni deformanti, o la storia e il bisogno di essa non hanno senso, anzi neppure nascono. Giuseppe Galasso