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 2011  gennaio 13 Giovedì calendario

GLI STATI UNITI IN GUERRA L’ECONOMIA DEL CONFLITTO

Nei vari documentari relativi alla Seconda guerra mondiale, viene sempre elencato il gran numero di mezzi militari fabbricati in pochi anni dagli Usa ed inviati sui vari fronti. Roosevelt annunciava la costruzione di decine di migliaia di aerei, altrettanti di carri armati, migliaia di navi e altro materiale bellico, sempre in quantità straordinariamente elevata. A differenza di tutte le altre nazioni belligeranti impoverite dalla guerra, non mi risulta che i cittadini degli Stati Uniti vivessero in ristrettezze. Come hanno fatto gli Usa a produrre tanto materiale destinato in gran parte alla distruzione, riuscendo anche ad avanzare soldi per il Piano Marshall che ci ha letteralmente sfamati? Paolo Gibertini paolog@gibertini.com Caro Gibertini, L a guerra fu per gli Stati Uniti, dal punto di vista economico, provvidenziale. I grandi programmi pubblici della presidenza Roosevelt avevano risollevato il Paese dallo stato di prostrazione in cui era precipitato dopo il crac del 1929, ma la crescita, negli anni seguenti, era stata complessivamente modesta. Il conflitto ebbe l’ effetto di rimettere in moto la grande macchina industriale americana, eliminare la disoccupazione, aumentare i salari e incrementare considerevolmente i consumi domestici. Nel suo grande libro su «La decadenza dell’ Europa occidentale», Mario Silvestri ha pubblicato statistiche da cui risulta, per esempio, che le industrie americane fabbricarono 19.400 aerei nel 1941, 47.800 nel 1942, 85.900 nel 1943, 96.300 nel 1944, 47.700 nel 1945, vale a dire più del doppio dei veicoli costruiti in quegli anni dalla Gran Bretagna e dall’ Unione Sovietica. Secondo Maldyin Jones, autore di una «Storia degli Stati Uniti» pubblicata da Bompiani, «la produzione di ferro, acciaio, magnesio, alluminio e rame raddoppiò e triplicò; quella di pezzi per macchina aumentò sette volte». Questo boom della spesa pubblica, da cui trassero vantaggio soprattutto le classi medie e medio-alte, provocò un aumento di prezzi e salari a cui il governo cercò di fare fronte con controlli e divieti. Fra il 1941 e il 1945 il costo della vita aumentò del 30%, «ma fra l’ aprile del 1943 e l’ agosto del 1945 l’ aumento fu solo dell’ 1,4%». Più tardi, dopo la fine del conflitto, l’ economia ricominciò a crescere impetuosamente e poté consolidare i benefici conquistati dai ceti sociali maggiormente colpiti dal crollo di Wall Street e dalla successiva recessione. Il Piano Marshall fu una iniziativa straordinariamente generosa e lungimirante, ma non superiore alle effettive possibilità del Tesoro americano in quel momento. E fu soprattutto una mossa politica dettata dalla convinzione che una Europa occidentale distrutta e impoverita sarebbe diventata comunista e avrebbe garantito all’ Urss la vittoria della guerra fredda. Pur senza dirlo esplicitamente, gli americani si erano resi conto dell’ errore commesso dopo la Grande guerra quando avevano preteso dai loro alleati il rimborso dei prestiti concessi dalle banche americane durante il conflitto. Quei prestiti, dopo tutto, erano stati concessi per un fine comune: la vittoria contro gli imperi centrali. Ancora una osservazione, caro Gibertini. Al compito di sfamare le popolazioni civili europee non provvide il Piano Marshall, ma l’ Unrra United Nations Relief and Rehabilitation Administration, l’ organizzazione creata a Washington nel 1943 per l’ assistenza e la riabilitazione, definitivamente chiusa nel 1946.
Sergio Romano