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 2011  gennaio 14 Venerdì calendario

Beirut ritorna nella palude - Il Libano è tornato nella palude dell’ingovernabilità dopo 14 mesi di traballante unità nazionale

Beirut ritorna nella palude - Il Libano è tornato nella palude dell’ingovernabilità dopo 14 mesi di traballante unità nazionale. Gli sciiti di Hezbollah e i partiti che formano la coalizione dell’«8 marzo» (ci sono anche i comunisti) hanno deciso di mandare a casa il premier Hariri, ritirando un terzo dei trenta ministri. Mentre mezzo Maghreb brucia per la crisi economica, il Libano si avvita in una crisi puramente politica, dalle radici interne e internazionali. L’incertezza istituzionale rischia ora di rallentare l’ennesima rinascita del Paese dalla proprie ceneri, scandita lo scorso anno da una crescita dell’8 per cento. Alla radice del collasso c’è il Tribunale speciale per il Libano (Stl) che indaga sull’assassinio, nel 2005, del premier Rafiq Hariri, padre del primo ministro Saad Hariri ora in carica «ad interim». In un primo tempo i magistrati indirizzarono i loro sospetti verso Damasco, ma uno scandalo di falsi testimoni fece naufragare le indagini. Da almeno un anno sono finiti sul banco degli imputati (anticipazioni dei segretissimi dossier finiscono puntualmente sui giornali...) alcuni alti responsabili di Hezbollah. Il partito di Dio sostiene che il Tribunale è uno strumento politico nelle mani di Washington e dei suoi alleati regionali, dunque non ha credibilità. Tirato per la giacchetta da America, Francia, Arabia Saudita, Iran e Siria, il premier Hariri tergiversava. Certo, non poteva mostrarsi troppo conciliante di fronte alla ricerca degli assassini di suo padre, anche se la pace sociale stava regalando alle sue aziende bilanci da favola. Sotto l’occhio apparentemente benevolo della Francia, Siria e Arabia Saudita hanno messo da parte storici rancori per cercare un compromesso che mettesse d’accordo i loro clientes locali, ma senza frutto. L’America di Obama, d’altra parte, non sembra interessata agli equilibri levantini dello scacchiere libanese e mantiene il suo muscoloso sostegno al Tribunale come se fosse soltanto una questione di principio. Si dice che le incriminazioni arriveranno a marzo. Sempre tutto a marzo in Libano. «Il Libano sta di nuovo precipitando in un tiro della fune regionale tra l’America, Israele e i loro alleati da una parte, e Siria, Hezbollah e Iran dall’altra», dice Joshua Landis, esperto di Medio Oriente dell’università dell’Oklahoma. La storia si ripete, la vittima più illustre del tiro alla fune scatenato in Libano dalla politica di George W. Bush fu proprio Rafiq Hariri, l’unico che aveva il carisma e la stoffa del grande tessitore. Ci sarà un’altra guerra? La domanda è sulla bocca di tutti. «Non ci sarà guerra - spiega Landis - Hezbollah ha detto chiaramente che non la vuole e non cerca neppure il colpo di Stato. Il suo obiettivo è uno stallo come tra il 2005 e il 2008. Il prezzo più alto di questo immobilismo lo pagheranno i ricchi imprenditori. Sono quelli che hanno più da perdere dal rallentamento degli investimenti, dal crollo della Borsa, dal declino della crescita. Qui si combatterà la vera battaglia. Il movimento 14 Marzo che sostiene Hariri capitolerà di fronte alle perdite economiche? Riuscirà Hezbollah a evitare l’accusa di aver provocato la stagnazione economica?». E adesso? Mentre il sito di Al Manar, la televisione di Hezbollah, manda segnali intervistando insigni costituzionalisti che spiegano in sostanza che un governo di transizione non ha alcun potere se non una circospetta routine, il presidente Michel Suleiman cerca di riattaccare i pezzi del governo in frantumi. Sarà molto difficile che il partito sciita voglia tornare in un governo guidato da Hariri anche se l’ex premier non ha ancora gettato la spugna. Ieri è stato protagonista di un «tour de force» tra Parigi e Ankara per incassare l’appoggio (scontato) di Sarkozy e la disponibilità a mediare di una Turchia sempre più potenza regionale. «Ascolteremo le posizioni che il primo ministro ci esporrà, e continueremo poi a intrattenere contatti con tutte le parti coinvolte», ha detto il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu, doctor subtilis della svolta «neo-ottomana». Oggi Hariri incontrerà il premier Erdogan. «Saad Hariri stava per fare importanti concessioni sul Tribunale speciale - ha dichiarato il leader druso Walid Jumblatt - ma forze occulte glielo hanno impedito». Scorre all’indietro l’orologio di Beirut.