MARCELLO SORGI, La Stampa 14/1/2011, pagina 7, 14 gennaio 2011
Centrosinistra e centrodestra Due crisi in fotocopia - Un tempo si diceva: simul stabunt, simul cadent
Centrosinistra e centrodestra Due crisi in fotocopia - Un tempo si diceva: simul stabunt, simul cadent. Forse si tornerà a ripeterlo a proposito dei due maggiori partiti, nati uno dopo l’altro ed ora alle prese con crisi simmetriche e parallele. La malattia che sta consumando il Pd somiglia stranamente a quella di cui ha sofferto il Pdl fino alla rottura, con Veltroni nella parte di Fini e Bersani in quella di Berlusconi. Come Fini a Montebello, Veltroni ha convocato un’assemblea della sua corrente a Torino, città ad alto valore simbolico perché è lì che il partito fu fondato, dallo stesso ex-segretario adesso finito in minoranza. Bersani non ha gradito e ieri, in direzione, ha richiamato all’ordine i veltroniani, ricevendone per tutta risposta le dimissioni di Fioroni e Gentiloni dai loro incarichi di vertice. A questo punto il segretario ha frenato e la frattura è stata in qualche modo ricomposta. Ma la sensazione di tutti è che il Pd sia ormai alle soglie della dissoluzione, e che Bersani, pur godendo di una larga maggioranza interna (Franceschini e Fassino, che prima stavano con Veltroni, sono passati con il segretario), non sia in grado di governarlo e di imporre una sua linea. In questo quadro il caso Fiat e il referendum di Mirafiori, più che l’ultima occasione di divisione sono apparsi come un pretesto per portare la situazione interna ai limiti di rottura. Che il maggior partito di opposizione decida di discutere di un problema importante, legato al mondo del lavoro, come l’accordo tra Fiat, Cisl e Uil, contestato da Cgil e Fiom, è del tutto legittimo. Ma che si riduca a farlo solo nel giorno in cui a Mirafiori si aprono le votazioni del referendum proclamato dall’azienda, e dopo che il fior fiore dei dirigenti, da Fassino a Livia Turco, da Chiamparino a D’Alema, fino ai cosiddetti rottamatori e al sindaco di Firenze Renzi, si sono espressi nei modi più svariati, è per lo meno singolare. Se Bersani voleva schierare il partito con la Cgil, come è parso di capire alla vigilia della direzione, forse doveva pensarci un po’ prima. E in ogni caso doveva pensare per tempo ad aprire la discussione, senza aspettare l’ultimo momento. Tra l’altro non si capisce perché, dei tanti dirigenti che si sono schierati a favore del “sì” a Marchionne e al referendum, l’unico che sia stato severamente redarguito, come se non avesse titolo per esprimersi, sia Renzi. Sono queste incertezze, solo le ultime di una lunga serie, a dare la sensazione di un Pd alle soglie di un’implosione. Non è mai buona cosa, in una democrazia che per funzionare ha bisogno anche dell’opposizione, che il maggior partito della stessa opposizione si dissolva.