Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  gennaio 14 Venerdì calendario

Il Quirinale: sentenza seria va rispettata - Questa volta le fonti ufficiali del Quirinale non hanno esitato a trasmettere il «massimo rispetto» del capo dello Stato per una «sentenza seria» che costituisce «un’ulteriore dimostrazione di equilibrio e imparzialità» da parte di un organo, la Consulta, nei confronti della quale egli del resto nutre «piena fiducia»

Il Quirinale: sentenza seria va rispettata - Questa volta le fonti ufficiali del Quirinale non hanno esitato a trasmettere il «massimo rispetto» del capo dello Stato per una «sentenza seria» che costituisce «un’ulteriore dimostrazione di equilibrio e imparzialità» da parte di un organo, la Consulta, nei confronti della quale egli del resto nutre «piena fiducia». In altri termini, il presidente dell Repubblica, che pure aveva promulgato la legge 51 dell’aprile 2010, ritiene che la sentenza della Corte «sancisca lo spirito con cui egli stesso si era misurato con la legge», vale a dire l’atteggiamento con cui l’aveva esaminata prima di promulgarla. Permanevano, cioè, nel presidente «dubbi e perplessità», ai quali, peraltro non fece esplicito riferimento una nota ufficiosa diffusa quel 7 aprile per spiegare che la decisione di promulgare la legge era stata orientata da una precedente sentenza della Corte, l’ormai famosa numero 24, che aveva riconosciuto «l’apprezzabile interesse ad assicurare il sereno svolgimento di rilevanti funzioni». Ma i collaboratori del presidente fanno notare che, in quella stessa nota, la legge 51 veniva caratterizzata come «volta a tipizzare l’impedimento legittimo», cioè a specificarne i casi. E proprio quella sottolineatura sull’opportunità di "tipizzare", cioè di ridurre ogni automatismo, avrebbe convogliato i dubbi presidenziali rimasti. Sia come sia, ieri il Quirinale non è sembrato preso di sorpresa come avvenne il 7 ottobre del 2009, quando, con un’altra famosa sentenza, la Corte pose fine alla breve vita felice del «lodo Alfano». L’unica nota che uscì quel giorno dal Quirinale era di due righe e mezzo e proclamava piuttosto bruscamente: «Tutti sanno da che parte sta il presidente della Repubblica, sta dalla parte della Costituzione». L’obiettivo polemico era Silvio Berlusconi, che, deluso per la bocciatura del «lodo», aveva messo in discussione l’imparzialità di Giorgio Napolitano, dal quale diceva di aver avuto assicurazioni sulla futura incolumità della legge. Poichè questo sospetto venne poi impugnato dall’estrema sinistra, un’altra nota, cinque giorni dopo, definiva «del tutto falsa» l’affermazione che si fossero «stipulati patti» con il governo, rassicurandolo su un esame favorevole della legge da parte della Consulta. Quello che è certo è che Napolitano, come emerse da quella stessa nota, aveva come obiettivo principale la cancellazione del famigerato emendamento «bloccaprocessi», da lui considerato «palesemente incostituzionale» e forse considerava il «lodo» il maleminore. Non c’è dubbio tuttavia che Napolitano venne molto più coivolto durante la messa a punto del «lodo» che del successivo «legittimo impedimento», che tenne sotto esame, prima di firmarlo, per ben 27 giorni, ma senza particolari consultazioni con il governo. Il presidente era rimasto bruciato: aveva cercato, per evitare il peggio, di aiutare Berlusconi sul «lodo»e per ringraziamento si era beccato l’accusa di «traditore». Sta di fatto che, anche in questo caso, come per il «lodo» la Corte ha messo in campo due articoli della Costituzione che sarebbero stati violati dal «legittimo impedimento», il 3, sull’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, e il 138, sulle procedure per approvare leggi costituzionali. Si trattadi illegittimità costituzionali, per quanto parziali, che a Napolitano, nel corso del suo esame, non erano apparse «manifeste». Per quanto questa intera vicenda riveli come, tra le altre cose, i rapporti tra Napolitano e Berlusconi si siano sempre più guastati, il presidente non è uomo da lasciarsi dominare da personalismi. La sua preoccupazione adesso è politica. Il legittimo impedimento formalmente resta, ma da brunito scudo è diventato una flaccida foglia di fico, perdipiù a scadenza, nove mesi di vita massima e Garanzia