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 2011  gennaio 13 Giovedì calendario

“Non abbiamo più paura” La rabbia assedia Tunisi - È risalita a poco a poco fino alla capitale, dove ha già marchiato le periferie nella notte e ieri ha fatto il gran balzo, addentando il cuore di Tunisi

“Non abbiamo più paura” La rabbia assedia Tunisi - È risalita a poco a poco fino alla capitale, dove ha già marchiato le periferie nella notte e ieri ha fatto il gran balzo, addentando il cuore di Tunisi. La descrivevano, gli uomini del potere, aggrappata solo al Centro Sud, Kasserine Thala Regueb, le regioni perdute in faccia al deserto. Dove anche ieri ci sono stati morti, a Douz, un vecchio professore e un elettricista, e un altro ad Hammateth. Invece l’abbiamo vista bussare, assalire, strepitando tra lacrimogeni, sassi e manganellate alla porte di avenue Bouirguiba. Ieri è stato un giorno chiave nella lenta agonia di questo strano regime maghrebino di Ben Ali, illuminata e ottusa, consumistica e miseranda, adorata dagli occidentali, turisti e politici, e odiata dai suoi ragazzi che si uccidono per dire basta alla vita. Per venti anni il Presidente ha tripudiato con il novantanove per cento; e poi è bastato il suicidio di un ragazzo stanco di essere povero per far crollare tutta la facciata. Avenue Bourguiba non è solo un luogo e un nome. È la faccia del modello Ben Ali, il suo biglietto da visita con le sue tinte pallide color gelato e gli alberi che sprizzano verde e vita. Sono gli Champs Élysées della Tunisia modernista, avida di consumi, sazia e soddisfatta. Ogni volta che qualcuno protestava, timidamente per carità, per la polizia manesca, le elezioni in cui il Presidente sceglieva letteralmente come per un ruolo in commedia comparse, spalle e coro e lustrare meglio i suoi trionfi, ecco c’era la cartolina di avenue Bourguiba: con le mercanzie, i lussi, l’aria di ricchezza mondializzata. È Maghreb questo? Cosa volete di più? Guardate altrove! È lì che ha fatto sistemare la sua piramide, un albero di Natale illuminato che celebra il quattro novembre, data in cui ha preso il potere. Questi ragazzi che vogliono farlo cadere dal piedistallo non erano neanche nati allora. Ieri i tempi nuovi sono arrivati a un passo da qui. Con una folla di ragazzi, adolescenti incappucciati con la voglia di scassinare la serratura di quella città ricca e di saccheggiarla per lasciare il segno della loro rabbia e della loro determinazione. Eppure sembrava una giornata qualunque, in un posto dove è come se fosse sempre domenica. All’inizio è stato giusto un rumore, un ronzio come il canto di gigantesche zanzare. Poi sono comparsi loro, i ribelli, qualche migliaio, ma sembravano di più avanzando a ondate. Gridavano insulti feroci contro ben Alì e il suo clan, ma quello che impressionava di più, che metteva un brivido nel cuore era un altro urlo: «non abbiamo più paura». Non c’è l’ideologia, mancano i leader che il regime ha sapientemente annientato nel corso degli anni. Certo, ma c’è la voglia di osare. Inebriante. Più forte dei manganelli, dei lacrimogeni. Delle fucilate. Sono i loro padri che hanno votato Ben Ali per anni, per paura, per rassegnazione, sperando in meglio. Loro no, votano ora con la rabbia e le pietre. Non possono avere tutto quel bendidio? Bene, lo distruggeranno. Li hanno sentiti arrivare i buoni borghesi di Ben Ali. Anche qui nel corso degli anni con il denaro che colava si è formato uno strato grasso i cui gusti non sono più quelli della vecchia borghesia impregnata di stile francese che aveva fatto la rivoluzione di Bourguiba. Non sono loro che comandano, è il generone benalista sguaiato e onnipresente. Sapevano che la notte era stata dura nelle città di Ehadhamen, Al Intikila, Ezzouhour che una volta, come suggerisce il nome doveva essere un giardino e ora è solo miseria, dove vivono quelli che hanno consumato la vita a far laureare i figli e poi li vedono senza lavoro, a facchinare nei mercati, sorpassati dagli altri, dai raccomandati. Da quelli che hanno fatto il grande salto (è modernità anche questa) dalla mancia alla tangente. Hanno sentito gli spari nella notte, intravisto il fumo nero che veniva dalle sedi del partito al potere bruciate, da una banca ridotta in briciole. Al mattino chi era passato di lì raccontava, i resti di quella baldoria sovversiva intatti, i copertoni incendiati per fare barricate, le auto e i bus bruciati. All’alba però hanno visto i soldati prendere posizione nelle strade, intorno alla tv e all’ambasciata francese. E questa è stata l’altra grande novità: perché finora l’esercito stava a guardare la polizia politica che faceva il suo lavoro, con i vecchi metodi. Inutilmente. Nessuno lo ha scritto o annunciato perché qui tutto avviene dietro uno schermo, ma tutti sapevano e ripetevano: il capo di stato maggiore sarebbe stato licenziato, brutalmente, e sostituito dall’ex responsabile dei Servizi Ahmed Chibir. Perché il generale si era rifiutato di ordinare ai soldati di sparare sulla folla. Tutti, ribelli e lealisti, sono certi che la soluzione l’ha in mano l’esercito; e gli uni sognano che si ammutini per non sparare sui fratelli in strada e abbatta un Presidente regalando la democrazia. Gli altri sperano che li difenda. Poi l’annuncio che il Presidente aveva chiesto la liberazione degli arrestati dei giorni scorsi, salvo coloro che si erano macchiati di vandalismi, e licenziato il ministro degli Interni. Un gesto di distensione o di debolezza. Ai più pare che Ben Ali esiti, tentenni, non abbia più quella mano guantata di ferro con cui ha lisciato per venti anni la pelle del Paese. Poi l’ordito multicolore dei battaglioni dell’intifada è comparso a place de la Porte de France. Sono venuti a dare un’occhiata alla guerra che faranno nei prossimi giorni, a quello che resta ancora da conquistare. Il primo annuncio delle rivoluzioni è l’aspettativa, non la paura. Ma per la Tunisi dei ricchi, mentre calavano le saracinesche e era il fuggi fuggi nei suk, siamo già oltre. Non ci sono stati né vincitori né vinti, al crepuscolo i ribelli si sono immersi ondulando nell’oscurità dei loro quartieri. Il governo ha proclamato per la prima volta dall’epoca in cui cadde Bourguiba (è un segno?) il coprifuoco. Dalle venti di ieri fino stamane all’alba anche avenue Bourguiba è rimasta vuota, spettrale. Ben Ali è assediato dal silenzio, i ribelli gli hanno rubato i rumori della capitale.